Corriere della Sera, 25 febbraio 2019
Storia di San Pellegrino, da Cinecittà a Hollywood
Gli albergoni stile liberty, quelli che sembra occupino una vallata, crocevia di gente che va e gente che viene, come si dice nel famoso Grand Hotel con Greta Garbo che finisce con la partenza per il lago di Como, sono stati di recente scenario di alcuni titoli assai particolari.
E questi edifici, magnificamente barocchi, alveari di lusso popolati da camerieri in livrea, profumi di marca e abiti da sera, sono stati i protagonisti nelle loro fastose misure di nevrosi e lussi patologici, molti sovvertimenti dei sensi per citare non a caso Stefan Zweig che nella felix Austria aveva visitato questi luoghi alto borghesi.
Un posto di rilievo lo merita quel grande, premiato sudoku cinematografico di Alain Resnais L’anno scorso a Marienbad che si svolgeva come un incubo fantastico tra i corridoi di un enorme albergo in stile Versailles con l’eco indimenticabile della voce di Giorgio Albertazzi che aveva il compito di dimostrarci proustianamente che spazio e tempo non esistono se non nel proprio «io». Si va poi dalla variopinta ed innevata reception del post moderno Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, dove succede di tutto ma l’albergo è la tana sicura, alla fanta casa di correzione per single senza anima gemella di The lobster di Yorgos Lanthimos; si arriva a The Truth di Sorrentino, amarissima glossa a due sulla vecchiaia vissuta su amari allori e memorie.
Ma se si pensa alle Terme il pensiero corre a velocità inaudita verso 8 e mezzo di Fellini che come sempre aveva ricostruito tutto in studio, studiando però a lungo in prima persona le vere terme con acque, fanghi e ladies in rughe e lamè, al peso netto del suo genio. San Pellegrino conta un albergo stile 3D di questi storici, nato ai primi del 900, crocevia di notorietà a diversi gradi: ci soggiornarono anche due Nobel, Montale e Quasimodo oltre alla regina Elena col coniuge principe Umberto di Savoia (sic: Umberto di Savoia era sposato con Margherita, Elena era la moglie montenegrina di Vittorio Emanuele III - gda).
Il contributo del cinema a questo luogo e al marchio dell’acqua ad esso collegato, lo dobbiamo alla commedia all’italiana quando volentieri Sordi e Tognazzi, la Vitti e Manfredi, la Melato e Gassmann sedevano, chiacchieravano, si tradivano lungo i perimetri di tavoli imbanditi anche con bottiglie verdi firmate: era la disfida tra l’Italia e l’acqua francese Evian o Perrier. Tanti i film dove è comparsa la bottiglia: da La dolce vita a Il diavolo veste Prada.
Le terme come luogo di villeggiatura, ma anche di cura e di distrazione, così le ha viste il geniale Dino Risi, che non faceva sconti ai nostri usi e costumi, girando nel ‘78 nel Casinò teatro dei San Pellegrino inaugurato nel 1907, Primo amore. Un film su Picchio, cioè Ugo Tognazzi, decaduta stella del vecchio varietà – ruolo già magnificamente sostenuto in Io la conoscevo bene —, che incontra una giovane infermiera della casa di cura, ed ecco Ornella Muti in tutto il suo fulgore e la sua voglia di fuga dalle memorie con lustrini dell’avanspettacolo. Luogo anche vintage, di sospiri perduti nel tempo, di scalinate liberty, di stucchi, di arrotolati menù. E negli stessi luoghi Mattia Pascal alias Adriano Meis (Marcello Mastroianni) si invaghisce di Laura Morante nella riduzione di Mario Monicelli del famoso racconto di Luigi Pirandello che trova qui alcuni dei suoi ambienti ideali. E ancora qui è stato girato in parte un successo comico di Renato Pozzetto, Nessuno è perfetto di Festa Campanile, uno dei primi divertimenti negli albori degli anni 80 che iniziavano ad adeguarsi al girotondo gender avvistato già all’estero.