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 2019  febbraio 25 Lunedì calendario

La crescita dell’Africa corre sull’autostrada Cairo-Cape Town

Un striscia di asfalto lunga 10 mila chilometri, da Alessandria d’Egitto fino a Città del Capo. È un sogno nato più di un secolo fa, quando gran parte dell’Africa era sotto il dominio dell’Impero britannico. È stato rilanciato subito dopo l’indipendenza degli Stati africani e sepolto sotto un sequela infinita di guerre civili. Ora però è più vivo che mai, e il primo tratto, dalle sponde del Mediterraneo fino al centro della Valle del Nilo è stato inaugurato qualche giorno fa. È un’arteria imponente, che lungo l’area urbana del Cairo si allarga anche fino a otto corsie e che per ora si ferma al confine con il Sudan. Ma il progetto complessivo coinvolge oltre all’Egitto altri nove Paesi, Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Kenya, Tanzania, Zambia, Zimbabwe, Botswana, Sudafrica. 
Come la Panamericana, la prima autostrada transafricana è destinata a diventare una leggenda per i viaggiatori su quattro o due ruote. 
Una strada che costeggia le Piramidi, il Lago Vittoria, il Kilimangiaro è fatta per sognare. Ma dietro gli enormi investimenti, in tutto 32 miliardi di dollari secondo le ultime stime, c’è soprattutto la volontà di rilanciare l’economia egiziana e di tutta l’Africa orientale. Il completamento del primo tratto è stato annunciato dal ministro dei trasporti Hisham Arafat, che ha parlato di «tappa storica» nell’integrazione delle economie africane. Il progetto è stato lanciato sotto la presidenza di Abdel Fatah al-Sisi, all’inizio del 2015, come parte del piano di infrastrutture, a partire dal raddoppio del Canale di Suez, destinato a portate l’Egitto nel Ventunesimo secolo. Ogni Paese finanzierà il suo tratto ma è chiaro che la Transafricana è destinata a cambiare i rapporti commerciali e politici nella regione in senso continentale.


L’idea del 1890
L’Africa soffre ancora dell’eredità coloniale, quando le vie di trasporto erano concepite per servire gli interessi delle potenze europee, e i collegamenti fra diversi Paesi erano quasi inesistenti. L’idea di unire il Mediterraneo all’Atlantico era una eccezione e venne lanciata nel 1890 dal primo ministro dell’allora Colonia di Città del Capo Cecil Rhodes, l’uomo che poi diede il nome alla Rhodesia, oggi Zimbabwe. In quel momento infatti tutti i Paesi che avrebbe dovuto attraversare, tranne l’attuale Tanzania, erano parte dei domini della Regina Vittoria. Rhodes immaginava una «linea rossa ininterrotta», perché allora il progresso viaggiava in treno e le ferrovie erano segnate con un tratto rosso sulle mappe geografiche. Ma dopo due guerre mondiale e la decolonizzazione della «linea rossa» c’era soltanto qualche troncone.
Negli Anni Settanta, però, le nuove nazioni africane cominciano a rilanciare il progetto, questa volta «una linea nera», una moderna autostrada a quattro corsie. Il progetto era duplice: unire Nord e Sud ed Est e Ovest. Nel 1971 i giapponesi finanziano e cominciano a costruire il tratto della Mombasa-Lagos, ma la dittatura e follie di Idi Amin in Uganda bloccano tutto. Negli stessi anni, il Sudan è dilaniato dalla guerra civile, la Rhodesia diventa indipendente, ma finisce sotto il tallone di Mugabe. Oggi le turbolenze continuano, a partire dal Sudan investito da una nuova ondata di proteste, ma i nuovi leader sono consapevoli che senza integrazione regionale non c’è futuro.
Come ha sottolineato lo stesso ministro dei Trasporti egiziano, soltanto «il 13 per cento degli interscambi sono intra-regionali» contro per esempio il 40 per cento in America del Nord e ancora di più in Europa. L’Egitto ha cambiato rotta e nel 2018 ha investito ben 10,2 miliardi di dollari in altri Paesi africani. L’export è salito a 6,2 miliardi, mentre l’import si è fermato a 1,98 miliardi. La Transafricana potrebbe «moltiplicare» queste cifre. Imprese private egiziane sono impegnate anche in tratti fuori dall’Egitto, e il Cairo spera che l’opera possa essere completata entro il 2025. L’autostrada, con un minimo di quattro corsie, è destinata a diventare la spina dorsale di una nuova area di libero scambio, che unisca le organizzazioni già esistenti in Africa orientale (Eac) e meridionale (Sadc) con Egitto e Sudan.
Egitto e Sudafrica sperano anche di integrare una serie di zone economiche speciali, che fanno perno attorno ai porti principali nelle coste orientali africane e sui cui hanno messo già gli occhi i cinesi. Pechino ha investito soprattutto in ferrovie che dall’interno portano merci e materie prime verso la costa. Il Cairo punta invece a una integrazione interafricana, con l’obiettivo di favorire anche la mobilità della sua manodopera qualificata e allentare la pressione sul mercato del lavoro interno. La «linea rossa», diventata «nera», è ora al servizio delle ambizioni regionali del più popoloso Stato arabo e non più dell’Impero britannico.