Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 25 Lunedì calendario

Simenon torna in classifica

C’era un afrore di treno notturno e di dormitorio dell’esercito della salvezza, di caserma e di camera di ospedale, di prigione, di veglia funebre, di tutto ciò che non rientra nella vita di tutti i giorni, di tutto ciò che è acre e molesto, con un odore di umanità troppo penetrante, un retrogusto di miseria che prendeva alla gola.
Così scrive George Simenon, ne Il sospettato, storia di un disertore che torna in patria nel tentativo di sventare l’attentato di matrice anarchica a una fabbrica piena di operai. E se ci si chiede come mai un libro, scritto nel 1938, appena uscito da Adelphi, scali le classifiche di vendita (nono nella top ten, primo della narrativa straniera) si possono trovare moltissime risposte. Ma ne resta una fondamentale: questo Simenon sapeva scrivere. Ma non è che Simenon sia una sorta di “usato sicuro” del giallo e poco più, o sia da considerarsi un autore che, a dispetto del numero dei libri con e senza il commissario Maigret, sa avvincere per la trama. Chi lo ama, ama la “carnalità” dei personaggi. Non perdono tempo in dettagli da psicologia della chiacchiera.
Sono infedeli, cattivi, bastardi, generosi, eroici perché sono così e non perdono pagine in spiegazioni: agiscono, amano, odiano, pensano, si muovono lungo le strade delle città e dell’anima. È la lezione della grande letteratura e se pure esiste, anche se taluni la negano, la differenza sostanziale tra libri che sono scritti per distrarre (gialli, polar, fantascienza, umoristici) e libri che vogliono decifrare l’uomo e il mondo (il grande romanzo), nel corso dei secoli incontriamo scrittori, da Edgar Allan Poe a Philip K. Dick, che “ti tirano dentro” i loro mondi e, in qualche modo, aiutano il lettore a fermarsi a riflettere, lo emozionano, lo cambiano, come se fossero Bulgakov o Zola. Tra costoro, c’è Simenon, il giornalista che raccontava le notti e gli spettacoli di Parigi, l’uomo che amava voracemente la vita, lo scrittore che il successo non cambiò mai. Frank, il ragazzo assassino de La neve era sporca, il medico dalla vita ordinata che va a pezzi per l’incontro con la fragile Martine e che scrive Lettera al mio giudice, il Signor Hire che, pagina dopo pagina, vorresti soccorrere, sono così nitidi, così perfettamente imperfetti da mostrarci la nostra umanità e disumanità. Per questo Simenon entra non solo in classifica, ma dentro di noi.