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 2019  febbraio 25 Lunedì calendario

Sterili per via chirurgica

“Voglio diventare sterile” ha detto un giorno Andrea a sua moglie. Ma prima di trovare un andrologo disposto a fargli una vasectomia (l’intervento che consiste nel taglio e nella legatura dei dotti deferenti dell’apparato genitale per impedire agli spermatozoi di arrivare all’esterno) ci ha messo tre anni. “Nel pubblico nessuno te la fa, allora ho chiesto a tre studi privati ma si sono rifiutati, poi a forza di cercare sul web ho trovato uno specialista non obiettore”. Venti giorni fa, con un intervento di sei minuti in anestesia totale, Andrea, imprenditore milanese di 47 anni, ha perso la fertilità. “Ho pagato poco più di mille euro e non me ne pento. È più fastidioso andare dal dentista. Abbiamo già due figli, il preservativo è scomodo, mia moglie non tollera la pillola, l’unica soluzione era questa”. Anche per Nicolò, che ha 38 anni e abita in Sicilia, è stata un’Odissea. “Mi sono rivolto a due strutture pubbliche e mi sono sentito rispondere che era meglio che cambiassi idea, che per controllare le nascite ci sono altri modi. Ma io non voglio far prendere degli ormoni a mia moglie e il profilattico riduce il piacere. Quindi ho cercato un medico a pagamento. Non mi sento meno virile. Siamo a posto già con due bambini, il terzo sarebbe difficile da mantenere”.
In Italia la vasectomia, a parte essere un metodo contraccettivo poco conosciuto, è molto ostacolata. “È un intervento che eseguiamo solo per fini sanitari, in caso di epididimite cronica, cioè l’infiammazione del dotto che connette i testicoli con i vasi deferenti – spiega Andrea Salonia, andrologo all’ospedale San Raffaele -. Da noi come contraccettivo è ancora un tabù e la normativa non è chiara”. “Per questo motivo – continua il collega del Policlinico di Milano, Franco Gadda – preferiamo non erogare questa prestazione, che può costituire un danno grave, irreversibile, di cui il paziente non si rende conto. Chi mi dice poi che non si penta? Io voglio curare la fertilità, non impedirla”. Impossibile anche alle Molinette, il principale ospedale pubblico del Piemonte. O al Careggi di Firenze. O all’Umberto I di Roma, il policlinico più grande d’Italia. “Gli avvocati ce lo sconsigliano. Se il paziente lo fa all’insaputa della compagna, questa potrebbe denunciare il medico – racconta Giorgio Franco, professore di urologia e andrologia al Policlinico -. Privatamente però lo faccio, più o meno uno all’anno. Spiego che è reversibile, che si può tornare indietro, anche se il successo non è garantito al cento per cento”. In Italia nel 2017, ci fa sapere il ministero della Salute, sono state effettuate 260 vasectomie in regime pubblico ma, sottolinea Tommaso Cai, segretario della Società italiana di urologia – quelle per scopi anticoncezionali non sono neanche il 5 per cento. Poi ci sono quelle eseguite privatamente, di cui però non abbiamo conto”.
Dai dati raccolti dalle Nazioni Unite sulla contraccezione, la sterilizzazione maschile nel nostro Paese rappresenta lo 0,1 per cento tra i metodi usati per controllare le nascite. In Canada, quasi il 22 per cento. In Australia, il 14. Negli Stati Uniti, tra l’8 e l’11. Rimanendo nel Vecchio continente, le percentuali più alte si registrano nel Regno Unito (21), Belgio (8,1), Irlanda (7,3) e Spagna (4,5). Quello che tormenta di più i nostri medici è il vuoto legislativo sulla vasectomia. Depenalizzata con la legge 194 del 1978, fino a metà degli anni Ottanta la giurisprudenza la inserì nel reato di lesioni gravissime in quanto produce perdite nella capacità di procreare (secondo l’art. 583 del codice penale) e diminuisce l’integrità fisica (art. 5, codice civile). “Il richiedente deve essere messo al corrente dei rischi-benefici e firmare un consenso informato, perché – spiega Gianluca Montanari Vergallo, professore di Medicina legale alla Sapienza – il chirurgo può essere condannato al risarcimento del danno in caso di lacunosa informazione. O in caso di nascita indesiderata, se l’intervento fallisce, come ha deciso il tribunale di Reggio Emilia nel 2015”.
Al Sant’Orsola di Bologna hanno messo a punto un modulo di consenso con l’ufficio legale e in lista di attesa hanno già 4 uomini. Anche a Trento, dove trattano una decina di casi l’anno. Il privato comunque in quasi tutta Italia resta l’unica alternativa. Tra gli andrologi che a pagamento offrono la prestazione c’è Marco Cosentino, che opera a Milano, Padova, Mestre, Roma e Napoli. “Faccio 5 vasectomie al mese. L’età dei pazienti va dai 45 ai 50 anni”.
Un altro specialista molto attivo nel capoluogo lombardo è Riccardo Vaccari. Una media di 10 vasectomie mensili. “Preferisco far firmare il consenso anche alla partner, tendo a non operare i single, e per chi è incerto o depresso richiedo una valutazione psicologica”. Carlo Foresta, direttore del centro di crioconservazione dei gameti maschili di Padova e membro neoletto del Consiglio superiore di sanità, raccomanda alle istituzioni di creare subito un protocollo condiviso per la presa in carico di questi pazienti. “Nel nostro centro arrivano ogni anno almeno 5 o 6 uomini che hanno fatto la vasectomia e che oggi vorrebbero un figlio. Se avessero maturato meglio la scelta adesso il Ssn non dovrebbe accollarsi la spesa per il prelievo degli spermatozoi e la fecondazione assistita”.
I numeri della sterilizzazione femminile sono più alti: 5852 nel 2017. L’asportazione e chiusura delle tube è scelta dall’1,4 per cento delle italiane, mentre negli altri paesi avanzati dal 5,5 per cento, rileva l’Istat. Ogni ospedale fa a modo suo però. E ogni ginecologo è libero di opporsi. Ma le resistenze culturali sono facilmente aggirabili. “Innanzitutto l’Oms consiglia la chiusura delle tube dopo il terzo cesareo per evitare la rottura dell’utero in caso di un’altra gravidanza” specifica Rossella Nappi, docente di ginecologia all’università di Pavia. “Alcuni ospedali hanno messo dei limiti: 35 anni e tre figli o 37 e due figli” dice Silvia Von Wunster, referente per la Lombardia dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI). Al Sant’Anna di Torino vengono sterilizzate circa 40 donne ogni anno. Il dottor Paolo Petruzzelli ci spiega che la paziente deve firmare due consensi, uno per il medico legale, l’altro per il ginecologo. E che non ci sono limiti di età. “Ma prima vanno informate su tutte le alternative disponibili, come pillola e spirale”. Mentre al San Camillo di Roma la paziente deve firmare due volte, a distanza di 30 giorni.