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 2019  febbraio 25 Lunedì calendario

Quelli in attesa di trapianto: 3 anni per un rene

La prima cosa che balza all’occhio, scorrendo gli ultimi dati del Centro Nazionale Trapianti, è il calo delle liste d’attesa, soprattutto di quelle relative al trapianto di rene. Ora, non si può dire che la situazione si sia “normalizzata”: al 31 dicembre scorso le persone in attesa di trapianto erano 8.713, contro gli 8.743 di 12 mesi prima. Ma è il terzo anno consecutivo che la coda s’assottiglia, soprattutto grazie al calo della lista d’attesa per il trapianto di rene, che nell’ultimo anno è scesa da 6.683 a 6.545. Detto questo, di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio, considerando che – restando al trapianto di rene, il più diffuso – si può restare anche per più di tre anni aspettando l’agognato intervento. Ancora troppo, considerando che un periodo così lungo porta a un’inevitabile e sostanziale peggioramento del quadro clinico del paziente. In effetti, il 2018 è stato salutato come un altro anno record, dopo l’eccezionale 2017. I trapianti effettuati sono stati 3.718 (3.407 da donatore deceduto, 311 a donatore vivente), secondo miglior risultato mai registrato dopo i 3.950 dell’anno precedente, e dato che comunque consolida il trend di crescita degli ultimi cinque anni (+20,4%). In particolare, sono stati effettuati 2.117 trapianti di rene, 1.245 di fegato, 233 di cuore, 143 di polmone, 41 di pancreas. I due ospedali in cui si è svolto il maggior numero di interventi sono quelli di Torino (Le Molinette) e di Padova (Giustinianeo).

SOPRA LA MEDIA
Anche in quanto a donazioni il 2018 è stato il secondo miglior anno di sempre: sono stati 1.680 i donatori, tra deceduti e viventi, e se son diminuiti di 83 unità rispetto al 2017, è anche vero che si tratta di un numero ben al di sopra della media degli ultimi cinque anni. Peraltro, per quanto riguarda la dichiarazioni di volontà a donare o meno gli organi dopo il decesso (dunque dichiarazioni favorevoli ma anche contrarie), la Rete nazionale trapianti non ne ha mai raccolte così tante come nel 2018: al 31 dicembre le dichiarazioni registrate erano quasi 4 milioni e mezzo, oltre 1,9 milioni in più rispetto al 2017. Una crescita trainata dal raddoppio dei Comuni nei quali è ora possibile registrare le proprie volontà in materia (a tutt’oggi sono 5.598, il 69,9% del totale). Ma attenzione, come detto queste dichiarazioni non sono tutte positive: l’81,2% dei dichiaranti (circa 3 milioni e mezzo) ha espresso il consenso all’espianto, il 18,9% ha invece sottoscritto un’opposizione. Ancora in ordine alle donazioni di organi, c’è però anche da registrare un dato di segno opposto: la percentuale di opposizioni alla donazione ha raggiunto il 29,9%, in lieve aumento rispetto all’anno precedente. Significa che una volta su tre i parenti del deceduto, interpellati, hanno rifiutato la donazione. In questo senso, non si può non notare la differenza territoriale: al Sud le opposizioni sono molto più numerose (in Sicilia il 47,4%, in Puglia addirittura il 52,2%) rispetto al Nord (Piemonte, Lombardia e Veneto restano fra il 24 e il 27%). Spiega Flavia Petrin, presidente nazionale di Aido, che spesso i no alla donazione sono conseguenza di una domanda rivolta al momento sbagliato, «quando la persona ha appena perso un caro». Aggiunge Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti: «Sono tre le domande poste dai parenti del deceduto, quando viene chiesta loro la disponibilità alla donazione: è veramente morto? Avete fatto tutto il possibile per salvarlo? Che vantaggi avete dalla donazione? Ci vuole trasparenza e informazione, dunque». E anche argine al complottismo ormai dilagante, pronto a intravedere maneggi occulti in ogni angolo, anche in sala operatoria. Ma questa è un’altra storia. O forse no, forse è sempre la stessa.