Il Messaggero, 25 febbraio 2019
Azra Kohen, la regina della psico-fiction
È nato un nuovo genere narrativo, si può chiamare psico-fiction o romanzo-terapia, e ha già incoronato il suo re, anzi la regina. È la turca Akilah Azra Kohen, quarantenne, psicologa junghiana: la sua trilogia composta da PHI, CHI e PI il primo titolo è pubblicato da Mondadori (traduzione di Nicola Verderame, 520 pagg. 19 ) ha venduto 2 milioni di copie, è stata trasposta in una serie tv, ed è in corso di pubblicazione in mezzo mondo. I lettori entusiasti non scrivono di aver letto i suoi libri, sostengono di averli seguiti. L’autrice stessa, da poco trasferitasi a Londra, dichiara senza esitazioni che la trilogia è progettata come una serie di sedute di psicoterapia destinata a chiunque desideri avvicinarsi alla propria verità interiore. PHI è la lettera greca con cui la matematica indica la formula della sezione aurea, quella della bellezza e nel romanzo è ben rappresentata dall’aggraziata e sinuosa danzatrice Duru, di cui s’innamora perdutamente un ricco e celebre psicologo dal passato oscuro, Can Manay. In una Istanbul (anche se non è nominata) glamour, moderna e vittima della ricerca ossessiva del successo, il suo amor fou travolgerà la vita di tanti. Tycoon, musicisti, giornalisti, escort: ogni personaggio manifesta un differente disturbo della personalità ed è evidente come, dopo la descrizione dei loro sintomi nel primo capitolo della saga, nei successivi saranno tutti costretti a affrontarli, pagando un prezzo per una verità più profonda e trascinando verso la guarigione anche i lettori.
Quando ha iniziato a occuparsi dell’esistenza degli altri?
«A Istanbul, subito dopo gli studi universitari. Prima ho creato un’associazione che cercava di aiutare i bambini e poi cani e gatti che vivevano per strada; soccorrevo chi non aveva nessuno. Poi ho lavorato in una clinica occupandomi di adolescenti con problemi di dipendenze; alla fine, per raggiungere più persone ho pensato di scrivere, anche se i miei amici erano contrariati che abbandonassi la professione. PHI
è poi diventato un successo grazie al passaparola».
Lei ha parlato di letteratura terapeutica. Che cosa vuol dire?
«Il primo libro introduce i personaggi e serve a ricordare l’importanza della consapevolezza di sé. È un invito a scoprire la propria individualità in un momento in cui tecnologia e cultura dominante spingono all’uniformità, a vedere in tutto soltanto materia. Chi non scopre la propria individualità diventerà però la pecora di un gregge, non parteciperà davvero a una società illuminata. Nascere in un corpo umano non crea persone umane. Se nel primo romanzo prevalgono manipolatori e falsi guru, nel secondo loro dovranno confrontarsi con i creativi veri anzi, se mi permette, con i creatori di un mondo migliore; e nel terzo avverrà finalmente il superamento dei limiti. I protagonisti scoprono il senso della propria individualità, vivendo così com’erano predestinati dalla nascita. E il lettore compie lo stesso percorso: si è visto in uno specchio. Prima viene la diagnosi, poi la cura».
PHI contiene tante scene di sesso. Perché?
«È sesso perverso però, una sessualità prevaricatrice, malata. Più avanti si capirà che cosa c’è dietro questo desiderio. Il sesso è una trappola che ho messo io, perché so che la curiosità si risveglia così».
La trilogia ha davvero curato molti lettori? Ci sono dati?
«Per rendersi conto dell’effetto, occorre leggere tutti e tre i romanzi. Comunque risultati concreti ci sono stati. In Turchia è calato per esempio il numero di antidepressivi venduti. E penso che i miei libri abbiano avuto un impatto anche sull’adozione di energie rinnovabili da parte del mio Paese. È un tema di cui mi occupo nella seconda parte della trilogia; insieme a tecnologia, religione, ecologia».
L’impressione è che lei si sia rivolta soprattutto a un risveglio di coscienze femminili.
«Io l’ho scritto pensando a uomini e donne insieme. Si scoprirà poi che il personaggio più importante della storia è un maschio, Deniz (il musicista fidanzato di Duru e messo in crisi dall’arrivo di Can Manay, ndr)».
Ogni personaggio di PHI mostra un disturbo della personalità. Ci sono schizoidi, narcisisti. Lei come si considera?
«Un’ossessiva compulsiva. Sono una perfezionista e mi piace lavorare duro e sui minimi dettagli».