Libero, 24 febbraio 2019
L’India deporta milioni di indigeni per far spazio alle tigri
Secondo l’India la sopravvivenza degli indigeni è più importante che la vita di un missionario, ma le tigri sono più importanti degli uni e dell’altro. È quanto risulta da due decisioni che sono venute quasi in contemporanea. Da una parte, il governo indiano ha deciso infatti che non ci sarà nessuna accusa di omicidio per la tribù che a North Sentinel, Andamane, lo scorso 17 novembre aveva ucciso a colpi di freccia il 26enne statunitense John Allen Chau. La decisione del giovane missionario di sbarcare nell’isola per predicare il Cristianesimo a una delle ultime etnie non contattate del mondo era stata infatti in violazione alla legge che lo vietava, proprio per preservare una popolazione che vive isolata da 60.000 anni, e che potrebbe essere rapidamente cancellata dal contatto con i virus e i batteri della civiltà. Il Dipartimento di Stato ha riconosciuto che New Delhi non ha torto a pensarla in questo modo ed ha dunque rinunciato a disporre le sanzioni che teoricamente dovrebbero ricadere sui Paesi che nel loro territorio lasciano uccidere un cittadino degli Stati Uniti senza sottoporre gli assassini ad alcuna punizione. Il fatto però è che mentre l’India condona l’uccisione di un missionario per salvare tra i 50 e i 400 indigeni che vivono su un’isoletta dell’Oceano Indiano da 8 km di larghezza e 72 Km2 di superficie, nel frattempo ben 8 milioni di altri indigeni e abitanti della foresta stanno per venire sfrattati in seguito a una sentenza della Corte Suprema indiana da cui una durissima protesta dell’organizzazione indigenista Survival International. Un «disastro senza precedenti» e «il più grande sfratto di massa mai verificatosi in nome della conservazione» è il tono della protesta. Sono stati alcuni gruppi indiani conservazionisti a chiedere di dichiarare invalido quel Forest Rights Act che riconosce agli abitanti della foresta diritti sulle loro terre ancestrali, anche all’interno delle aree protette, espellendo gli esseri umai dalle aree che devono essere riservate alle tigri. Tra i gruppi in questione ci sarebbero Wildlife First, Wildlife Trust of India, la Nature Conservation Society, la Tiger Research and Conservation Trust e la Bombay Natural History Society. A sorpresa, quello stesso governo nazionale che ha deciso di non punire i Sentinelesi ha invece trascurato di presentarsi in tribunale per difendere i diritti dei popoli indigeni nelle aree dove vivono le tigri. La sentenza della Corte Suprema colpisce almeno 1,1 milioni di famiglie, che dovranno sloggiare dalle loro case e dalle loro terre entro il 27 luglio. Ma il dato potrebbe addirittura aumentare, dal momento che alcuni Stati non hanno fornito dettagli circa il numero delle persone che saranno interessate. «Questa è una sentenza di morte per milioni di indigeni in India. Un furto di terra dalle proporzioni epiche e una monumentale ingiustizia» ha dichiarato il Direttore generale di Survival International, Stephen Corry, invitando grandi organizzazioni conservazioniste come Wwf o Wcs a «non rendersi complici».