il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2019
Apollinaire in trincea
“M. Guillaume Apollinaire è morto di ‘grippe’. Aveva 38 anni. Si era arruolato all’inizio della guerra, era stato ferito gravemente a Verdun e gli era stato trapanato il cranio. Dai primi giorni della sua convalescenza, si era ammirato con quale energia e quale ardore avesse ripreso il suo posto d’avanguardia nella giovane letteratura”. In una notizia a pagina due, lunedì 11 novembe 1918, Le Figaro dava conto della morte a 38 anni di Guillaume Apollinaire, avvenuta il giorno 9 a Parigi.
Giuseppe Ungaretti fu uno dei primi a vederlo morto, come raccontò nel 1961 alla Rai: “Vado a casa di Apollinaire, entro in camera e lui era disteso, coperto da un velo nero. Era morto. Stava lì con il quadro che gli aveva dato per le nozze Picasso di fronte al letto. Questo è il ricordo che conservo di Apollinaire più terribile”.
Il poeta era una delle vittime dell’epidemia di febbre spagnola, la “grippe”. Sino all’ultimo, con quell’“ardore” che gli riconosceva il giornale parigino, aveva lavorato e scritto. Tanto che, il primo di novembre, aveva pubblicato sulla rivista Mercure de France un intervento sulle liriche di Charles Maurras, dove esaltava la “divinità di Omero” e l’amore per la “divina poesia”. Un articolo-manifesto, e soprattutto un articolo come testamento letterario e spirituale.
Le collaborazioni di Apollinaire al Mercure de France, che ebbero inizio nel 1911 e trovarono spazio nella sua rubrica “La vie anecdotique”, sono state tradotte in italiano e ora pubblicate nel volume Aneddoti 1911-1918, curato da Angelo Mainardi ed edito da Robin nella collana Biblioteca del Vascello. “Senza essere un diario intimo”, osserva Mainardi nell’introduzione”, gli Aneddoti “ci danno attraverso spiragli un’immagine profonda del loro autore”; ed è “come se una finestra si aprisse obliquamente sull’officina del suo pensiero, in un periodo estremamente importante della sua esistenza di uomo e di artista”.
Sono gli anni delle uscite delle sue raccolte poetiche fondamentali, da Alcools a Calligrammes, e delle prose di Le Poète assassiné. E sono gli anni delle avanguardie storiche, dell’Apollinaire teorico del cubismo e lettore di Freud e del Marchese de Sade, della letteratura erotica e libertina, dei grandi amori come quello con la pittrice Marie Laurencin, poi della partecipazione da volontario alla Grande Guerra, in cui Guillaume fu ferito.
Tutto ciò ebbe consonanza puntuale nelle note e nelle cronache per il Mercure de France, in cui s’affollano i resoconti dei concerti “fragorosi” di Alberto Savinio e i commenti dei visitatori a una mostra di Juan Gris, i ricordi dell’amico Alfred Jarry e le leggende su Rousseau il Doganiere (il pittore Henri Rousseau, ndr), i giudizi sarcastici di Picasso su certi dipinti futuristi e le corrispondenze in prima persona dai fronti e dalle trincee della prima guerra mondiale.
Gli articoli per la rivista parigina avevano come assunto, come dichiarazione di poetica e di professione umanistica, quanto Apollinaire appuntò fin dall’inizio, il primo aprile del 1911, quando ancora non firmava con il nome, bensì con lo pseudonimo di “Montade”. Scrisse: “Amo gli uomini non per quello che li unisce, ma per quello che li divide, e dei cuori voglio soprattutto conoscere ciò che li tormenta”.
Sfilano, negli Aneddoti, Blaise Cendrars e Filippo Tommaso Marinetti, Matisse e Umberto Boccioni, Gerard de Nerval e Anatole France, la veggente Violette Deroy e Stendhal, i romanzi di Fantômas e Oscar Wilde, le gazzette del fronte e le storie di ufficiali e di soldati. E compare una curiosa nota sulla lotta contro la vaccinazione, del 1914, dove rammenta che un giovane autore, Auguste Achaume, portò “in giro a lungo a Parigi una commedia contro il vaccino, ma nessun teatro volle prenderla”.
L’ultimo scritto, otto giorni prima di morire, fu un congedo nel segno della bellezza che vincerà sempre: “La regalità della poesia non unisce questi due prosatori nello stesso partito realista? (…) E le loro divisioni sono poca cosa rispetto a ciò che li associa nello stesso amore per la divina poesia”.