Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2019
Il «Ramo», la nuova moneta contro il debito mondiale
Questo saggio è un richiamo a governi e governanti perché cambino rotta prima che sia troppo tardi. Attraverso un’ampia analisi dei fattori che frenano la crescita economica nel mondo, Rabie spiega la relazione fra crisi del debito globale e diseguaglianze socio-economiche con il loro portato di alienazione, radicalismo, terrorismo. Il peso del debito pubblico nella maggioranza delle nazioni è ormai tale che rischia di divenire insostenibile. Perciò Rabie proporne una nuova strategia (il “Ramo Plan”) per liberare i Paesi, ricchi e poveri, dal fardello del debito creando le condizioni perché essi possano affrontare i pressanti problemi economici, sociali e di sicurezza dei cittadini.
La globalizzazione e la rivoluzione dell’Information Technology hanno determinato enormi cambiamenti tanto nelle strutture economiche quanto nei rapporti di produzione. Tali che lo Stato-nazione ha finito col perdere gran parte del suo potere di controllo sull’economia che è divenuta un sistema mondiale, complesso e integrato, funzionante al di fuori dei parametri del passato. La transizione dall’età dell’industria a quella della conoscenza, iniziata a metà anni 90, ha distrutto il mondo come lo conoscevamo disseminando un deficit di fiducia fra la gente. Le persone comuni sono disorientate e vivono una crisi dopo l’altra senza molta speranza di riguadagnare un equilibrio in un prossimo futuro.
Il trionfo dell’economia sulla politica, avvenuto nel corso degli anni 80, ha costituito una battuta d’arresto per la democrazia e per i suoi principi di libertà e di eguaglianza, così come per il capitalismo che ha perso la sua funzione sociale di promozione dell’economia nazionale e della classe media ad essa legata. L’evoluzione storica del capitalismo ha condotto la ricchezza a farsi potere tout court.
In questo contesto il processo politico è divenuto man mano un mero strumento al servizio delle élite, meno indipendente e libero, consentendo al denaro di stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è, che cosa è nell’interesse nazionale e che cosa no. La democrazia ha perso di conseguenza la sua abilità di fare le cose che avrebbe dovuto fare a favore dei più, ha perso sia la sua visione sia la sua missione.
Eppure, con la fine della guerra fredda, democrazia e capitalismo erano emersi come il più promettente sistema economico-politico, se non il solo accettabile. Si prevedeva che entro i primi anni del XXI secolo ogni Stato del mondo sarebbe divenuto in qualche modo una democrazia. Ma gli ultimi due decenni hanno visto un rovesciamento di tale tendenza.
La crisi del 2008 aggravò drammaticamente questo quadro di per sé già negativo. Alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, ricorsero a politiche espansionistiche per rinvigorire il loro sistema economico, altri scelsero politiche di austerità con tagli di spesa e riduzione del deficit. Tuttavia, secondo l’autore., entrambe queste scelte si sono rivelate disastrose: perché non hanno raggiunto appieno i loro obiettivi e hanno causato comunque l’aumento dei debiti delle singole nazioni (l’Fmi prevede che nel 2023 il debito Usa sarà al 116,9% del Pil, ndr). Il debito pubblico degli Stati aderenti all’Ocse ha superato ormai il 100 per cento del loro Pil e continua a crescere inesorabilmente. Inoltre tutto ciò è avvenuto a spese della classe media. Un effetto delle politiche di quantitative easing, per esempio, è stato di abbassare i tassi d’interesse per i risparmiatori. E ciò, secondo l’autore, è tanto più immorale perché nega il giusto ritorno a chi risparmia per il futuro, permette ai governi d’indebitarsi sempre più e costringe le generazioni future a pagare il conto degli abbagli di chi le ha precedute e avrebbe invece dovuto tutelarle.
È arduo immaginare come capitalismo e democrazia possano essere salvati mentre il debito continua a crescere rapidamente, la disoccupazione resta alta, il gap di reddito e di ricchezza fra ricchi e poveri si allarga, la classe media continua a restringersi, la povertà a diffondersi, gli standard educativi a declinare e persiste il timore di un regresso nelle aspettative sociali. Nessuna nazione – avverte Rabie – può vivere sul denaro preso a prestito per sempre. Alla fine ogni nazione dovrà far crescere la propria economia e aumentare l’export per generare ricavi sufficienti a riequilibrare il suo budget e a ripagare il suo debito.
Dal momento che il problema del debito non è limitato all’Eurozona e agli Usa, ma coinvolge altri Stati, la soluzione non può che essere cercata in un contesto globale. Con i mutamenti introdotti nelle nostre vite dalle nuove tecnologie il modo in cui finora si è fatto business e si è vissuto sta disgregandosi. Perciò gli assunti su cui si basavano le tradizionali teorie economiche e finanziarie, secondo l’autore, risultano ora inutili e obsoleti.
L’orizzonte appare davvero cupo. Se l’intero debito pubblico non viene ripagato adesso – ammonisce Rabie – non lo sarà mai. Perché la dimensione del debito e dei suoi interessi ha ridotto enormemente la capacità di tutti i Paesi indebitati di ripagarlo. Rallentamento, stagnazione e contrazione dell’economia minacciano i Paesi indebitati. Anche l’Fmi ha messo recentemente in guardia contro la protratta, ostinata crescita del debito pubblico nel mondo. E sin dal 2011 ha ammesso di non poter né prevedere né gestire la prossima crisi finanziaria.
Ora la stragrande maggioranza delle nazioni si trova a fare i conti con enormi deficit e montagne di debiti che inibiscono la loro abilità e iniziativa di far crescere in modo stabile l’economia creando lavoro e aiutando i poveri.
Rabie propone una nuova strategia, il “Ramo Plan”, per uscire dalla trappola del debito, per gestire l’attuale crisi socio-economica mondiale, le sfide e le paure del cambiamento nonché per cogliere le opportunità che il cambiamento stesso crea.
Pivot del Ramo Plan è la trasformazione dell’Fmi in una sorta di banca centrale globale, con il potere di emettere una nuova valuta internazionale che dovrebbe essere chiamata “Ramo” con bond in “Ramo”, per finanziarsi e per fare prestiti direttamente agli Stati in sofferenza.
Liberare le nazioni ricche e povere dal peso del debito significa affrontare la crisi del debito pubblico nel breve termine e rendere possibile che gli Stati risolvano un poco alla volta i pressanti problemi economici, sociali e di sicurezza.
È lecito chiedersi, tuttavia, quanto governi e governanti vogliano davvero liberarsi dal peso dei deficit nazionali o intendano piuttosto utilizzarli a fini di consenso a breve termine.