Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2019
Testo digitale, tu ci inganni
Non mancherà forse chi cercherà di bollare come semplicemente tecnofobe – in nome di un’idea rozza e quasi puerile del progresso, che pure oggi va per la maggiore – le conclusioni a cui è giunto il gruppo di lavoro internazionale E-read che ha indagato vantaggi e svantaggi della lettura digitale. Più di duecento ricercatori – linguisti, neuroscienziati, letterati – si sono interrogati e hanno condotto esperimenti e osservazioni in tutta Europa su una pratica montante nei sistemi di istruzione che si dicono avanzati: la tendenza, cioè, a sostituire sempre più la lettura su carta con quella su schermo o su altri analoghi dispositivi. In apparenza, si tratta di una tendenza innocua, visto che si potrebbe pensare che l’acquisizione (o la produzione) del contenuto di un testo scritto avvenga nello stesso modo indipendentemente dal supporto. Dopotutto, il Discorso sul metodo di Cartesio contiene le stesse parole nell’edizione a stampa e in quella digitale: perché dunque la sua lettura dovrebbe avvenire diversamente da parte dello stesso lettore?
Anche ammettendo che vi siano delle differenze indipendenti dal contenuto e dalla forma linguistica dei testi, un’altra possibile nozione intuitiva potrebbe riguardare il fatto che le nuove generazioni, sempre più abituate a leggere su schermo fin dalla più tenera età grazie al crescente impiego di questi mezzi nelle pratiche scolastiche, si potrebbero dimostrare capaci di compensare rapidamente gli eventuali svantaggi iniziali raggiungendo una capacità di lettura approfondita pari a quella dimostrata dalle precedenti generazioni su supporti di scrittura tradizionali.
Le conclusioni a cui, dopo una lunga indagine e un intenso dibattito interdisciplinare, è giunto il gruppo di lavoro smentiscono entrambe queste idee. E tornano a confermare, ponendolo in una luce nuova, un problema che da tempo e da più parti si pone sempre più decisamente nel panorama scientifico odierno. L’attività di lettura, che unisce una componente storico-culturale a una componente propriamente neurofisiologica e fisica, non avviene nello stesso modo su tutti i supporti. In particolare, la lettura su schermo nelle modalità tipiche del cosiddetto e-learning attuale ha pesanti ripercussioni sulla possibilità di lettura approfondita: cioè sulla piena comprensione dei concetti, sulla loro articolazione e complessità, sulla loro memorizzazione.
Il testo digitale ha indubbi vantaggi in termini di rapidità di trasmissione e di selezione delle porzioni di testo; e ha una sicura efficacia quando ad essere veicolati sono concetti semplici espressi in forma schematica. Esso rappresenta – come i ricercatori di E-read spiegano nella loro dichiarazione finale, la Stavanger declaration, che sta facendo discutere negli ultimi tempi in molti Paesi d’Europa – un’indubbia opportunità quando i suoi contenuti e la sua struttura sono adattati a preferenze e a necessità puntuali. Cioè quando il testo è costruito in modo specifico per un uso appunto digitale. Ma ciò non vale né può valere per qualsiasi tipo di testo, scritto nel passato o anche concepito nel presente.
In particolare, l’indagine condotta – in 54 indagini distinte – su una platea di circa 170mila soggetti, mostra che i lettori tendono a sovrastimare le proprie capacità di comprensione quando leggono un testo digitale, soprattutto quando leggono di fretta, risultando molto più esposti al calo della concentrazione e a una lettura selettiva, superficiale.
E quanto al secondo pregiudizio, quello relativo al presunto adattamento delle nuove generazioni ai nuovi modi di leggere il testo, anche in questo caso le risultanze dell’indagine smentiscono gli ottimisti, mostrando che il fatto di apprendere fin da bambini a leggere davanti a un computer non rende certo più attenti e più capaci di lettura approfondita. La lettura tradizionale, intesa come operazione oculare, manuale e cognitiva nel contatto con la materialità della scrittura, continua a produrre risultati più efficaci.
Tra i libri che meglio hanno raccontato al pubblico più vasto questo aspetto della lettura vi è quello di Maryanne Wolf, una neuroscienziata americana che in Proust e il calamaro (in Italia l’ha pubblicato Vita e pensiero) ha schiuso i segreti del leggere inteso come geniale invenzione e insieme come facoltà neurocognitiva dell’uomo. La Dichiarazione frutto del lavoro di E-read, recentemente adottata a Stavanger, in Norvegia, da una periodica Conferenza ministeriale del Consiglio d’Europa, porta un nuovo contributo a questo dibattito.
Vi si propongono poche e semplici raccomandazioni: non, si badi bene, bandire ciò che sarebbe impossibile e controproducente eliminare dal nostro panorama culturale (e scolastico in particolare). Ma rinunciare all’idea che i nuovi modi in cui leggiamo possano o debbano sostituirequelli maturati attraverso secoli – se non millenni – di paziente messa a punto. Non rifiutare il testo digitale, ma comprendere che esso, come ogni forma del cosiddetto progresso tecnico, non è esente da rischi che possono diventare distruttivi se li si sottovaluta. Già troppe volte l’homo technologicus (e il suo predecessore homo technicus) ha commesso questo errore, trasformando le sue geniali invenzioni in potenti distruttori del paesaggio, poi del clima. Prima che i danni s’estendano anche alla mente stessa, è forse il caso di porre un argine all’ottimistico fanatismo di quelli che Leopardi chiamerebbe forse oggi, con giusto fastidio, i nuovi credenti del Verbo tecnologico. Il testo digitale, al pari di tutti i tipi di testo e di tutti gli strumenti digitali, è utile se usato adeguatamente. Sta al buon insegnante – o semplicemente all’homo sapiens – di comprendere la sua differenza dal testo scritto per essere letto in profondità.