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 2019  febbraio 24 Domenica calendario

Quei misteri sull’oro di Stato

Pochi mesi fa, India e Cina hanno dichiarato spontaneamente (Pechino per la prima volta) di aver comprato tra il 2008 e il 2018 oltre 26mila tonnellate di lingotti d’oro, una quantità senza precedenti sul mercato delle riserve auree. Dopo pochi giorni, il World Gold Council, il più importante osservatorio internazionale, ha pubblicato le rilevazioni annuali sulla produzione mondiale di lingotti, creando non pochi interrogativi su quanto rivelato dai due governi: comprare tutto quell’oro sul mercato, come assicurato da Pechino e Mumbay, non è possibile. Ventiseimila tonnellate di lingotti sono infatti poco meno dell’intera quantità di oro estratto dalle miniere mondiali negli ultimi 10 anni. Se si calcola che tra il 2008 e il 2018 è stato estratto oro dalle miniere al ritmo di 3mila tonnellate l’anno, vuol dire che la produzione offerta in 10 anni non ha superato le 30mila tonnellate: se India e Cina hanno detto la verità, significa che tutto l’oro prodotto al mondo nel decennio è finito nei loro forzieri. Peccato che sia impossibile. Il Sole24Ore, scavando tra le comunicazioni ufficiali dei governi e i dati della produzione e del mercato dell’oro, ha trovato un giallo avvolto nel mistero. 
Cina e India non possono aver comprato tutto quell’oro in forma legale. Negli ultimi 70 anni, infatti, il 50% della produzione annua è stata riservata all’industria orafa mondiale, mentre agli usi industriali è stato destinato circa il 10% dell’oro estratto: se le cifre ufficiali non mentono, allora i conti non tornano. Come è possibile che India e Cina abbiano comprato sul libero mercato 26mila tonnellate, se la disponibilità di lingotti per le banche centrali non ha superato in 10 anni le 12mila tonnellate? Nessuna spiegazione, nessuna domanda da parte delle autorità di vigilanza, nazionali o internazionali. L’unica spiegazione logica, quindi, è che quell’oro non lo abbiano comprato sul mercato ufficiale, bensì sul famigerato “mercato nero” delle riserve auree: lingotti sovrani in custodia fiduciaria nei depositi di Londra e New York venduti o prestati sotto-banco spesso all’insaputa dei legittimi proprietari. E non è fanta-finanza.
Nel mondo misterioso delle banche centrali, non c’è nulla di più oscuro della “trasparenza” sulle operazion sull’oro: sia lo stock di lingotti indisponibili per il mercato (allocated gold) che quelli “non allocati (disponibili per operazioni finanziarie) sono accorpate nei bilanci delle banche centrali in un’unica voce, «Oro e crediti in oro». Pertanto, lo stato reale delle riserve allocate rispetto a quelle non allocate è impossibile da rilevare, sia per il mercato che per le altre banche centrali: in questo modo, nessuno può stabilire quanto oro sia stato impegnato da una banca centrale in operazioni speculative (Gold lease e swap), e nemmeno a chi appartenga effettivamente l’oro. Il Gold lease, o contratto d’affitto a termine è utilizzato in operazioni bancarie a leva frazionaria. In estrema sintesi, è una versione riadattata del vecchio SChema Ponzi.
La banca centrale prende una certa quota di lingotti dalle riserve auree e poi l’affitta (spesso a tempo indeterminato) a una «Bullion Bank», le grandi banche internazionali autorizzate a intermediare l’oro sovrano tra autorità monetarie e mercato. La Bullion bank, a sua volta, usa l’oro preso in consegna per garantire emissioni di derivati, o lo riaffitta ad altri operatori per lo stesso uso. Con questa tecnica, la Bullion Bank trasferisce il rischio su un altro operatore che, se vuole, può anche rivenderlo senza che nessuno se ne accorga: basta che continui a pagare l’affitto alla bullion bank. Il sistema funziona solo a una condizione: che il legittimo proprietario non chieda la restituzione e il rimpatrio dell’oro mentre il contratto di affitto sul suo oro è ancora aperto. Senza oro da riconsegnare, la banca centrale che lo aveva in custodia è costretta a bloccare il rimpatrio senza dare spiegazioni: se non non riesce a recuperarlo, deve comprarne un altro uguale sul mercato. Ma anche qui c’è un problema: i lingotti sovrani, per regola, non possono essere sostituiti con altri anche identici da chi li ha in custodia. In realtà, nessuno solleva questioni se i lingotti non sono più gli stessi: salvo il proprietario che li ha persi a sua insaputa.