La Lettura, 24 febbraio 2019
Le pulsazioni di Metropolis
Un incontro avvenuto ormai quasi vent’anni fa e rinnovato ogni volta sulle sequenze della techno music. È quello tra Jeff Mills, dj e produttore di Detroit, tra i padri dell’elettronica, e il cinema, soprattutto «muto». Tutto è iniziato con Metropolis, il capolavoro di Fritz Lang, che Mills ha musicato per la prima volta intorno al 2000 per poi tornarvi e affrontare la versione (quasi) completa, restaurata nel 2010. Era il 2017 quando Mills ha eseguito la nuova colonna sonora dal vivo a Berlino, dalla sua consolle, mentre sul grande schermo le immagini create nel 1927 da Lang mostravano la ricca megalopoli futuribile, nelle cui viscere si nasconde una catena di lavoro disumana. Nel mezzo Mills – raggiunto da «la Lettura» per telefono – ha ri-sonorizzato una lunga serie di film muti, ribattezzati Cinemix. L’8 marzo Mills sarà a Bergamo per inaugurare la 37ª edizione del Bergamo Film Meeting nell’ex chiesa di Sant’Agostino, dove per la prima volta in Italia proporrà la sua sonorizzazione di Metropolis per poi approdare l’11 marzo al Cinema Massimo di Torino per il festival Seeyousound.
Partiamo dal suo primo incontro con «Metropolis», nel 2000: che cosa l’ha condotta al film di Fritz Lang?
«Volevo provare a comporre musica elettronica per un film. Allora era un incontro poco comune, ma ero convinto che potesse essere perfetta. Quindi ho compilato una lista dei film su cui il mix tra elettronica e immagini poteva dare risultati interessanti. Metropolis era quello che mi sembrava più efficace».
In che modo si è accostato al film?
«Quando ho iniziato a lavorare alla prima versione avevo una conoscenza molto limitata di come si realizzasse la musica per un film. E quindi ho deciso di procedere in un modo che per me avesse senso. Ho guardato il film molte volte e l’ho memorizzato scena per scena. Poi ho iniziato a comporre la musica. Mi sono ispirato alla mia esperienza con la dance music. Anche in questo caso avrei guardato ai personaggi, ai loro movimenti, agli aspetti dimensionali della scena, alla distanza tra i soggetti per poi metterli in relazione con i suoni. La prima versione durava circa un’ora. Non mi interessava coprire l’intero film: volevo proporre un esempio di come la musica elettronica potesse abbracciare le immagini».
Poi nel 2008 nel Museo del Cinema di Buenos Aires è stata ritrovata una versione in 16 mm del film con molte scene ritenute perdute e la fondazione Friedrich-Wilhelm-Murnau, con la Deutsche Kinemathek, ha potuto realizzare una versione di 2 ore e 29 minuti: distribuita in Italia dalla Cineteca di Bologna, si avvicinava molto alla lunghezza originale, com’era stata proiettata la prima volta il 10 gennaio 1927 a Berlino. E lei è tornato a «Metropolis».
«La Ufa (Universum Film-Aktien Gesellschaft, che in origine aveva prodotto il film, ndr) mi ha chiesto di realizzare la colonna sonora nella versione integrale per poi eseguirla a Berlino nel 2017. E ora la porto anche in altri Paesi».
In che cosa differisce dalla prima?
«Innanzitutto è quasi tre volte più lunga. Ho potuto considerare ogni singola seguenza da una prospettiva diversa. Ci sono passaggi in cui è più drammatica e si avvicina molto a una colonna sonora tradizionale, altri in cui è prettamente elettronica, techno. Altri ancora più d’atmosfera. Ho sperimentato molto».
Come costruisce la performance?
«Dal vivo ho libertà assoluta. Posso creare situazioni diverse. Posso cambiare idea e modificarla».
«Metropolis» ha molto influenzato la storia del cinema. Anche molti musicisti hanno provato ad affrontarlo: l’altoatesino Giorgio Moroder ne fece una controversa versione pop-rock nel 1984, immagini del film compaiono nel video di «Radio Ga Ga» dei Queen. Perché i musicisti sono così affascinati da questo film?
«Perché è un grande film, realizzato da un grande regista, con un’ottima sceneggiatura e con una fotografia che lascia ancora senza parole. Perché porta con sé un messaggio sul nostro destino in quanto esseri umani. Ma, oltre a tutto questo, perché è un film molto difficile e stimolante su cui lavorare. Metropolis cambia ogni due minuti. Devi essere consapevole della direzione che sta per prendere per procedere, con la musica, nella stessa direzione. È una sfida. Riuscire a connettersi con il film è qualcosa di speciale».
Ha musicato film molto diversi: «Viaggio nella luna» di Méliès, «Berlino: sinfonia di una grande città» di Ruttmann, «Three Ages» («Senti, amore mio») di Buster Keaton, tra i tanti.
«Ho potuto affrontarli in modo molto libero, non avevo nessuno che mi dicesse in che modo dovessi lavorare. E da ciascun film ho imparato qualcosa».
Nel 2017 ha composto le musiche per un thriller giapponese, «And Then There Was Light», una nuova produzione. È cambiato qualcosa nel suo lavoro?
«È stato molto diverso. Sono stato coinvolto in fase di lavorazione e ho sviluppato una connessione ancora più intima con il film. Nessuna musica era stata creata prima. Dovevo partire dalla storia. La mia musica ha poi aiutato il regista Tatsushi Omori a disegnare le scene».
Preferisce lavorare con le immagini o con la sceneggiatura?
«Dipende. Ho lavorato con filmati reali, con immagini statiche. Spesso le immagini passano così in fretta sullo schermo che l’occhio rischia di perderne i dettagli. E allora fermo il fotogramma per capire fino in fondo quelo che c’è nella scena. Quando affronto un film, faccio molta ricerca e lavoro con tutto ciò che lo circonda, il contesto in cui è stato realizzato, chi era il regista».
In che modo i «Cinemix» hanno contribuito alla sua ricerca musicale?
«La colonna sonora di Metropolis, nella sua attuale versione, è la composizione più vasta che abbia mai realizzato. Mi ha insegnato molto sulla durata. Abbiamo a che fare con un film molto lungo; e in un film come questo la musica deve crescere, per essere sempre all’altezza di ciò che sta accadendo sullo schermo e riuscire ad attirare l’attenzione del pubblico».
Il suo nuovo progetto, «The Director’s Cut», ha un titolo cinematografico.
«Però ha poco a che fare con il cinema. Ma, come un regista che torna su un vecchio film per realizzarne un nuovo montaggio, anche io sono tornato negli archivi della Axis Records, la mia etichetta, e ho fatto lo stesso con la musica che ho composto in passato».
Affronterà altri film?
«Sto lavorando a una nuova versione di Parigi che dorme di René Clair: il guardiano di notte della Tour Eiffel scopre che tutti i parigini sono immobilizzati per un esperimento di uno scienziato e Parigi è diventata una città fantasma».
Che contributo porta la musica techno al cinema?
«La techno, che fa parte famiglia dell’elettronica, per stile e tematiche ha molto a che fare con la fantascienza, con la narrazione, lo spazio e la velocità. È un genere molto cinematografico. Si è sviluppato in questo modo. Se da molte tracce techno si toglie la pulsazione ritmica si ottiene qualcosa di molto simile a una composizione per un film. Nella mia mente la techno non è mai stata molto distante dal cinema e dalla narrazione. Si parlano in modo molto naturale».