La Lettura, 24 febbraio 2019
La tavola periodica, 150 anni fa
In Orphée, diretto da Jean Cocteau nel 1949, Orfeo visita il regno dei morti per ritrovare la moglie, Euridice. Per farlo attraversa uno specchio, la cui superficie diventa magicamente liquida al contatto con le sue dita, coperte da guanti in lattice. La scena è un piccolo capolavoro di effetti speciali: lo «specchio» è in realtà costituito da uno strato di mercurio, uno degli elementi più sorprendenti della tavola di Mendeleev. È l’unico metallo liquido a temperatura ambiente e l’unico in grado di riflettere perfettamente, come il vetro della superficie di un vero specchio.
Non si tratta però di un elemento semplice da utilizzare: ha una densità molto elevata, tanto che il piombo vi galleggia, e un contenitore anche piccolo, profondo quanto la mano di Orfeo (nel film, l’attore Jean Marais), doveva pesare oltre una tonnellata; e i guanti, presentati come elementi del rituale preparatorio necessario per passare nell’oltretomba, servivano in realtà a proteggere il protagonista dalla tossicità del mercurio stesso.
Conosciuto da migliaia di anni, il mercurio è sempre stato celebre per il fatto di presentare insieme le proprietà di un liquido e quelle di un metallo, caratteristica che lo ha reso il materiale ideale per i riti sacri o magici. Quella di Cocteau, in fondo, è solo l’ultima di una lunga serie di variazioni sul tema. Si dice che il primo imperatore della Cina, Qin Shi Huang, sia stato sepolto al centro di un modello in scala del Palazzo Imperiale, della capitale in cui il palazzo sorgeva, e dell’intero impero che lo circondava, con canali colmi di mercurio a simboleggiare i cento grandi fiumi della Cina. Paradossalmente, le pillole di mercurio ingerite dall’imperatore nella speranza di ottenere l’immortalità lo condussero precocemente al riposo eterno. La zona di sepoltura è la stessa in cui è stato rinvenuto il celebre «esercito in terracotta», che pare appartenga a un enorme complesso funerario il cui centro, con la tomba dell’imperatore, non è stato ancora portato alla luce per timore di danneggiarlo irreparabilmente. Sono stati però condotti dei test sul terreno, che hanno rivelato livelli di mercurio molto superiori alla media della zona.
Anche gli antichi Greci e Romani usavano il mercurio negli unguenti e come cosmetico. Immagine del tempo ciclico, era rappresentato simbolicamente come un serpente che si morde la coda e che si autofeconda. Per gli alchimisti – la parola nella tradizione indù per «alchimia» è rasavatham, letteralmente «via del mercurio» – era uno degli elementi primordiali che costituiscono la materia, e si riteneva che, al variare del tipo e del tenore di zolfo, il mercurio potesse essere trasformato in qualsiasi altro metallo, in particolare nell’oro.
Anticamente era indicato col nome di «argento vivo», o «idrargirio» (dal latino hydrargyrum, calco del greco hydrargos, da cui la sigla Hg per il simbolo chimico), parola composta dai termini «acqua» e «argento», a causa del suo aspetto liquido e metallico. L’elemento prese quindi il nome del dio romano Mercurio per via della sua scorrevolezza e mobilità.
L’uso più comune che conosciamo per il mercurio è nei termometri ma è anche utilizzato in altri strumenti di misura come barometri, apparecchi per misurare la pressione arteriosa e pompe a diffusione, proprio per le sue caratteristiche di liquido opaco e ad alta densità. Viene anche adoperato in campo elettrico per la realizzazione di interruttori, elettrodi e pile. E se nelle celle elettrolitiche viene utilizzato un elettrodo di mercurio liquido per la produzione di cloro gassoso e idrossido di sodio (soda caustica), i vapori di mercurio hanno un ruolo chiave in alcune lampade a fluorescenza.
Tra Settecento e Ottocento la produzione di cappelli di feltro passava attraverso un processo chiamato «carotatura», che consisteva nell’immergere le pelli di animali in una soluzione color arancione di nitrato mercurico, al fine di separare il pelo dalla pelle. La tossicità della soluzione e dei suoi vapori causarono però moltissimi casi di avvelenamento tra i fabbricanti di cappelli, che si manifestavano con sintomi quali tremori, instabilità emotiva, insonnia, demenza e allucinazioni. A tali casi si ispirò Lewis Carroll (nom de plume di Charles Lutwidge Dodgson) per il personaggio del Cappellaio Matto in Alice nel Paese delle meraviglie.
Dannoso per l’ecosistema, estremamente tossico, il mercurio ha legato il proprio nome a uno dei più gravi disastri ambientali del Novecento, verificatosi nella Baia di Minamata, in Giappone (1956), che portò a una serie di iniziative tese alla sua progressiva eliminazione da qualsivoglia ciclo produttivo. Nel 2013 questi sforzi si sono concretizzati nella convenzione di Minamata, un accordo internazionale firmato da più di cento Paesi in cui si prevede l’introduzione graduale di una serie di misure di contenimento, per arrivare nel 2020 alla messa al bando totale di alcuni dispositivi contenenti mercurio, tra cui batterie, lampade a fluorescenza e cosmetici.