Corriere della Sera, 24 febbraio 2019
Maccari con l’amico Sciascia
Presentando, nel 1977, le incisioni di Alberto Manfredi alla libreria Prandi di Reggio Emilia, Leonardo Sciascia ricorda un curioso episodio avvenuto proprio in casa dell’artista: «Manfredi tiene nel suo studio, in una piccola bacheca a cornice, una reliquia, un ex voto, un “per grazia ricevuta”. È un mozzicone di sigaro toscano che Maccari dimenticò acceso su un tavolo del suo studio. Quando il tavolo stava per cominciare a prender fuoco, una scossa di terremoto diede una buona scrollata a far cadere il sigaro a terra. Così lo studio di Manfredi si salvò da un incendio. Il sigaro toscano (che anche Manfredi fuma), la presenza di Maccari che nella distrazione si fa assenza, il terremoto che interviene ad evitare un incendio (un terremoto talmente particolare e grazioso come un miracolo ad personam: e pare che nient’altro sia caduto in città al di fuori di quel sigaro da quel tavolo): sembra un racconto, una fantasia; e un po’ anche un apologo. Come ogni persona seria, in quello che fa Maccari non si prende sul serio».
Sciascia e Maccari, legati da un’amicizia basata su interessi comuni per arte, letteratura e per taluni scrittori francesi, sono morti nel 1989, vale a dire trent’anni addietro. E l’Associazione Amici dello scrittore siciliano ha pensato bene di organizzare una mostra rievocativa al Castello Sforzesco di Milano (Sala Bertarelli, sino al 12 aprile). Coevo all’omaggio ai due scrittori, la nona edizione del premio biennale «Leonardo Sciascia, amateur d’estampes», cui hanno partecipato 29 artisti internazionali.
Vincitori? Stefano Luciano, Sayuri Nishimura, Elisabetta Diamanti, Devorah Boxer, Mehdi Darvishi e Gérard Diaz, i cui lavori, sono esposti (sino al 29 febbraio) alla milanese Fondazione Federica Galli. Catalogo edito da Il Girasole di Angelo Scandurra.
Sciascia era un collezionista d’arte. «Ho sempre avuto una passione per la pittura e il disegno. Ahimè non dipingo; ecco perché ammiro chi dipinge e soprattutto chi disegna. Non credo che nei miei libri si intrecci un legame fecondo tra pittura e letteratura. Non ho in genere l’abitudine di procedere per immagini, perché scrivo nero su bianco e, come per le acqueforti, i neri contano più dei bianchi! Un’incisione che amo raffigura Bernard Shaw che arriva al banco dei pegni per consegnare dei vestiti. Il commesso che lo riceve osserva che i pantaloni sono di Ibsen, la giacca di Nietzsche e il gilet di Schopenhauer. E Shaw per tutta risposta lo invita a guardare soprattutto come è stato fatto il rammendo. È quello che oggi accade alla letteratura: prendiamo le brache di uno, la giacca di un altro, il gilet di un altro ancora e procediamo a cucirli insieme» dirà lo scrittore di Racalmuto in un’intervista a James Dauphiné (tradotta da Eleonora Izzo).
Ma veniamo alla rassegna del Castello Sforzesco – curata da Giovanna Mori, Carlo Butturini e Ilaria Torelli – che presenta disegni, incisioni, fotografie, libri, riviste, pagine di diario, lettere, fogli inediti di Sciascia e Maccari, per documentare l’amicizia fra i due narratori (divertente il disegno di Maccari dedicato a Sciascia, con dedica autografa, del giugno 1970: «Fiore di Cascia,/ la donna deve avere bella coscia/ Leggendo i libri di Leonardo Sciascia»).
C’è di più: in mostra anche 16 grafiche dell’artista toscano, a suo tempo acquistate dal Comune di Milano. Il tutto, riassunto in un catalogo, E Sciascia che ne dice?, curato da Francesco Izzo, edito da Olschki. Uno degli ultimi libri di cui l’erede del fondatore della casa editrice fiorentina, Costanza, aveva fatto in tempo a vedere in bozze, prima che, a fine 2018, un brutto male la portasse via a 65 anni («La fiera leonessa è anche madre devota/ insegna a sua figlia ad amare la vita./ La donna che è adesso, è il risultato/ di ogni precetto da lei assimilato» scriverà la figlia, Serena Ruffilli, ne La leonessa ferita).
Illustrando il carteggio Sciascia-Maccari (’69-’78) e il diario, ritrovato in casa dell’artista-scrittore, Izzo spiega la genesi del titolo della plaquette di Olschki, ricca di battute e caricature. Ultimo foglio, datato, domenica 8 marzo 1981: «Sereno… Guardai/ Dove non si dovrebbe/ guardai/ Vidi quel che non si dovrebbe vedere». D’un tratto, a metà pagina: «E Sciascia che ne dice?». Maccari, prima gravemente colpito da malattie come la «montaignite» e la «flaianite», si aggrava con la «sciascite».
Maccari diverte l’autore di Todo modo, spiega Izzo, «lo intriga, gioca bene con lui, ne diventa complice (eloquenti gli sguardi nelle foto che li ritraggono insieme) (…). Le carte di cui disponiamo sembrano escludere tuttavia che Sciascia sia affetto da una qualche forma, anche lieve, di “maccarite”». Nella ricorrenza del trentennio della morte, conclude, «la morte non ce li ha tolti». Ce li ha restituiti.