Corriere della Sera, 24 febbraio 2019
L’America e il nemico socialista
Donald Trump ha un nuovo nemico di cui parla da qualche tempo sempre più frequentemente. Durante un comizio sul Venezuela a Miami, l’11 febbraio, ha detto: «A coloro che vorrebbero imporre il socialismo negli Stati Uniti mando un semplice messaggio: l’America non sarà mai un Paese socialista». In altre occasioni ha accusato di «socialismo» alcuni candidati del Partito democratico e qualche mese fa, prima delle elezioni di midterm per il rinnovo parziale del Congresso, la Casa Bianca aveva preparato un documento di 72 pagine sui «mali del socialismo».
Non è sorprendente. Il socialismo, anche nelle sue manifestazioni più moderate, è sempre stato per molti americani una patologia europea, la bestia nera di quella parte della società per cui gli Stati Uniti sono il Paese dove una persona tenace e coraggiosa può superare, nel corso della sua vita, tutti gli ostacoli che la separano dal successo e dalla ricchezza senza ricorrere a politiche distributive di origine straniera. È un mito caro all’America e, come tutti i miti, anche questo nasconde spesso una realtà alquanto diversa. La storia politica degli Stati Uniti registra la nascita di alcuni partiti socialisti che hanno avuto un ruolo importante soprattutto negli anni delle grandi immigrazioni, fra l’Ottocento e il Novecento. Il sindacalismo americano è stato in qualche momento particolarmente combattivo. Il nome di Eugene V. Debs (1885-1926), per cinque volte candidato del Socialist Party of America alla presidenza degli Stati Uniti, è ancora ricordato e onorato. Le politiche sanitarie, da Medicare e Medicaid sino alla grande riforma di Barack Obama, sono socialdemocratiche.
Ancora più socialista fu il New Deal di Franklin Delano Roosevelt dopo la crisi del 1929: un grande piano di opere pubbliche che sembrò emulare il primo piano quinquennale di Stalin. Quando Giulio Einaudi, agli inizi della sua carriera editoriale, pubblicò un libro di Henry A. Wallace, segretario dell’Agricoltura sin dall’inizio della presidenza Roosevelt e futuro vice presidente all’inizio degli anni Quaranta, Mussolini lo recensì calorosa-mente sul Popolo d’Italia. Al vecchio socialista e direttore dell’Avanti! sembrò addirittura che il New Deal, con la sua particolare combinazione di dirigismo e libero mercato, stesse imitando l’Italia fascista. Non aveva completamente torto. Fra le leggi emanate da Roosevelt ve ne era una che avrebbe trasformato gli Stati Uniti in uno Stato corporativo e che non superò l’esame costituzionale della Corte Suprema.
Non credo che Trump conosca quell’episodio. Credo piuttosto che stia parlando a un elettorato in cui il mito americano dell’«uomo che si fa da sé», ha ancora una forte risonanza e in cui Barack Obama viene ricordato come un presidente socialista. Fare il contrario di ciò che aveva fatto il suo predecessore è il motto della presidenza di Donald Trump.