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 2019  febbraio 24 Domenica calendario

In morte di Marella Agnelli

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
Nelle immagini del matrimonio lei pare più alta di lui. Gianni Agnelli, non ancora guarito dal drammatico incidente d’auto sulla Costa Azzurra, si appoggia a due bastoni. Tight, orchidea all’occhiello. Lei, abito bianco, coroncina di satin, velo lungo. Il fotografo delle nozze è Robert Doisneau, che tre anni prima è diventato celebre fissando per sempre un bacio appassionato tra due giovani davanti all’Hôtel de Ville di Parigi. Il giorno dopo, gli sposi si imbarcheranno sulla Queen Elizabeth per New York, dove Marella Caracciolo di Castagneto sarà fotografata da Avedon. Un ritratto decisivo per l’iniziazione alla mondanità: l’amicizia con il giovane senatore del Massachusetts John Fitzgerald Kennedy – cui restano da vivere appena dieci anni – e sua moglie Jackie; la frequentazione con Truman Capote, che vorrà Marella al suo leggendario «Black and White Ball» al Plaza.
In quel matrimonio c’è già un ruolo, un destino. È il 19 novembre 1953. Il piccolo villaggio sui Vosgi, Osthoffen, è stato scelto perché il padre della sposa, Filippo Caracciolo, è diplomatico nella vicina Strasburgo: segretario generale del Consiglio d’Europa. Lo sposo è arrivato con un piccolo aereo privato: il pilota, colonnello Isaia, è stato informato dalla torre di controllo che la pista è chiusa per il ghiaccio e deve atterrare in Lussemburgo; Gianni Agnelli insiste per scendere subito, sulla pista di un club privato; l’aereo si ferma dolcemente contro un cumulo di neve. C’è fretta. Il primogenito Edoardo nascerà il 9 giugno 1954. Il migliore amico dello sposo, Raimondo Lanza di Trabia, è arrivato invece su un’auto sportiva, sopravvivendo a due testa-coda. Due ragazzi alti e magri, i fratelli della sposa: Carlo e Nicola Caracciolo. Marella, nata a Firenze il 4 maggio 1927, ha ventisei anni; Gianni, trentadue. Titola L’Europeo: «Lo scapolo numero uno ha finito con l’accasarsi». 
Marella è stata la moglie ideale per l’uomo considerato il più potente d’Italia. Elegante, discreta. E disposta ad accettare la sua libertà, sapendo stargli vicina e lontana. Anche lei, come Gianni, parlava inglese fin da bambina: sua madre era americana dell’Illinois; poi aveva imparato il francese, un anno alla Sorbona. A Firenze aveva conosciuto il giovane Agnelli, convalescente dopo un altro scontro in auto accanto alla sorella prediletta, Susanna. È proprio Suni a intuire che Marella sarebbe la compagna perfetta per la vita di Gianni, e a manovrare perché il proprio disegno si realizzi. 
Lei non rivendicava potere né incarichi pubblici. L’oasi di Villar Perosa, la cura dei giardini, il libro pubblicato da Roberto Calasso — La signora Gocà, storia della sua adolescenza nelle colline toscane al tempo della guerra —, l’istituto oncologico di Candiolo, i cani – la foto ricordo che mandò agli intimi dopo la morte del marito lo ritraeva mentre giocava con un husky —, i quadri da Matisse al ritratto che le fece Warhol, il legame con la cugina Allegra, seconda moglie di Umberto Agnelli. E il rifugio sulla collina torinese, Villa Frescot. 
Per sintetizzare la formula di un matrimonio durato mezzo secolo, l’Avvocato aveva coniato una delle formule linguistiche per cui era famoso: «Non sono un marito fedele, sono un marito devoto». Teneva a far sapere che non passava giorno in cui non sentisse al telefono la moglie, anche se stavano da parti opposte del mondo: magari lui nella casa di New York, su Park Avenue, e lei nel buen retiro di Marrakech. «La signora Marella era capace di empatia con il prossimo, senza rinunciare a porre una distanza; il che è sempre segno di intelligenza» dice ora Gianluigi Gabetti, memoria storica della famiglia, 94 anni, la voce rotta dall’emozione. 
Non è stato abbastanza per tenersi al riparo dal dolore. Il suicidio di Edoardo. La rottura con Margherita. Erano insieme, madre e figlia, ad assistere l’Avvocato sul letto di morte. «Vorrei dormire» furono le sue ultime parole. «Dormi» le sussurrò la moglie. Poi sarebbe emersa la questione dell’eredità, sollevata da Margherita. 
Marella è rimasta fedele alle indicazioni del marito: la Fiat non era una villa plurifamiliare che potesse essere divisa; occorreva individuare un capofamiglia, vale a dire il primo nipote, John Elkann, e garantire la successione. Questo è stato il suo ruolo. Vissuto nel silenzio, sino all’ultimo giorno.

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Benedetta Craveri per la Repubblica

Scompare con Marella Agnelli l’ultima regina di cui l’Italia sia andata fiera. Di regale aveva la cortesia, il riserbo, la disciplina, l’autocontrollo, il senso del ruolo che competeva alla moglie del sovrano carismatico dell’industria italiana. Ma Marella aveva ugualmente portato in dote al marito un capitale di grazia e un gusto sapientemente semplice che l’avrebbe imposta, oltre che alla nostra, all’ammirazione dell’alta società internazionale, facendone un’icona dell’eleganza italiana sulle due rive dell’Atlantico. Eppure la sua non era sempre stata una vita facile.
Figlia di Filippo Caracciolo di Castagneto, un diplomatico discendente da una antica famiglia dell’aristocrazia napoletana, e di Margaret Clarke, una bella e sofisticata americana del Middle West, Marella nasce a Firenze nel 1927, due anni dopo Carlo e quattro prima del fratello più giovane Nicola. Come ricorderà lei stessa, è il disordine artistico — luminoso e fiorito — della vecchia villa toscana, dove passerà la sua prima giovinezza, a segnare il suo gusto a venire: vecchie stoffe variopinte, mobili di vimini, fiori di campagna e rose di ogni tipo saranno le costanti delle sue case e dei suoi giardini.
Non meno formativa è l’educazione liberale e antifascista datele dal padre, l’interesse per la letteratura e la poesia e l’amore per il paesaggio che farà di lui uno dei soci fondatori di “Italia Nostra”.
L’apprendistato artistico vero e proprio è invece quello newyorkese, prima come modella e poi come assistente del celebre fotografo Erwin Blumenfeld, ed è da lui che Marella impara a educare il suo sguardo.
Nel 1953 il matrimonio con Gianni Agnelli segna tuttavia un radicale cambiamento di vita. Si è innamorata di lui ancor prima di averlo conosciuto, per averne sentito parlare dalle sue amiche, e si applica con disciplina a imparare i doveri di padrona di casa dell’erede della più grande industria automobilistica italiana. Ma Gianni si rivela fin dall’inizio un marito a dir poco impegnativo. Profondamente legato alle forme, tradizionalista e borghese, egli ammira e rispetta sua moglie, ma non ritiene che l’istituzione matrimoniale contempli in alcun modo l’obbligo della fedeltà.
Continuerà dunque a far parlare di sé per i suoi exploit di don Giovanni impenitente, mettendo a dura prova la capacità di sopportazione di Marella che, di natura poco incline ai compromessi, persegue caparbiamente il sogno dell’amour fou caro alle donne della sua generazione.
In compenso, oltre naturalmente alla nascita dei figli, Margherita e Edoardo, e a una solidarietà e un affetto che si faranno sempre più forti col passare degli anni, a unire la coppia è la passione comune per le arti, l’interesse per la modernità e il collezionismo.
Da subito Agnelli scommette sul gusto di sua moglie e le affida il compito di rinnovare la casa di campagna di famiglia a Villar Perosa, ed è lì che Marella inizia una nuova avventura artistica in cui si rivelerà imbattibile. Ad aiutarla sono due fuoriclasse, il famoso arredatore francese Stéphane Boudin e l’ancora più famoso architetto di giardini Russell Page. Ed è quest’ultimo a «metterla in guardia dal lato oscuro di una grande fortuna» e a invitarla «a mettersi al servizio di qualcosa di superiore per non diventare schiava delle cose più basse». Un consiglio di cui Marella saprà tener conto coltivando la sua passione per le cose belle, perfezionando di casa in casa — a Torino, a Roma, a St. Moritz, a New York, a Parigi, in Corsica — l’arte dell’arredamento, eccellendo negli accostamenti imprevisti, scegliendo quadri eccezionali, sperimentando via via nuovi decoratori, nuovi architetti, nuovi esperti di giardini, ma riservando sempre per sé le decisioni definitive. Se si può parlare, come per i Rothschild, di un gusto Agnelli, è a Marella che lo si deve. Ma le case non rappresentano per lei solo costruzioni estetiche, sono oasi di pace dove ricevere le persone che ama. Assieme ai legami familiari, l’amicizia ha un posto importante nella sua vita e agli amici di sempre — Sandro e Mario d’Urso, Federico Forquet, i Gawronski, i Branca, Paolo Pejrone, si aggiungeranno, sul filo della curiosità e dell’empatia, scrittori, studiosi, artisti come Domenico e Raniero Gnoli, Gae Aulenti, Roberto e Fleur Calasso, Gigi Melega, Alberto Arbasino — per fare solo qualche nome — che, sia pur con qualche battuta sarcastica, saranno adottati anche da Gianni. Marella ha imparato a fare le sue scelte e, spiritosa e brillante, la sua conversazione sa strappare l’applauso di un virtuoso assoluto del genere come Jean d’Ormesson. Ma, fitta di impegni ufficiali e di obblighi mondani, la sua continua a essere un’esistenza in perenne movimento al seguito dell’Avvocato. Sia Gianni che Marella amano gli Stati Uniti e a New York sono da sempre di casa: frequentano le gallerie e gli artisti, si fanno ritrarre da Andy Warhol, hanno moltissimi amici, sono ospiti d’onore del famoso Black and White Ball organizzato nel 1966 da Truman Capote al Plaza. Sono una delle coppie più ammirate e ricercate del jet setinternazionale e fin dal 1960 il New York Times ha incluso Marella nella lista delle donne più eleganti. Tuttavia, a differenza delle altre protagoniste del jet set, Marella non concede interviste, ha orrore della pubblicità, non è in competizione con chicchessia, è semplicemente fedele a se stessa, alla sua educazione, al suo stile. Ed è anche per questo che suscita tanta ammirazione. Ma se è vero quello che sussurrano i suoi amici più intimi, è negli Stati Uniti che Marella mette in scacco il marito, accettando la corte del presidente Kennedy. Atteniamoci a una celebre sequenza di foto del 1962 che ritrae gli Agnelli e i Kennedy su uno yacht della Guardia costiera, durante le regate della Coppa America, e che mostra lo sguardo attento di Gianni sulla moglie che guarda a sua volta l’ospite americano. Quel che è certo è che la morte di Kennedy l’anno successivo sarà per lei un colpo durissimo.
In questa vita così intensa, così varia e così esposta alla curiosità altrui — come confesserà Marella in un bel libro in cui parlerà infine di sé (Ho coltivato il mio giardino, Adelphi, 2014) — i giardini saranno il suo luogo dell’anima e una fonte di «grande conforto». Un conforto che le sarà sempre più necessario negli anni dolorosi della vecchiaia, segnati dalla morte del figlio Edoardo, del marito, del fratello Carlo, del nipote Filippo Caracciolo, come dai conflitti familiari. E a ottant’anni compiuti Marella troverà ancora la forza morale di reagire alla sofferenza, alla depressione, alla malattia e celebrare la vita creando a Marrakech un ultimo giardino, «quello che più si avvicina alla sua idea di felicità». Ma ci consola pensare che riposerà ora a Villar Perosa, accanto al marito e al figlio, nella cappella di famiglia che sovrasta il primo e il più bello dei suoi giardini.



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Paolo Bricco per la Repubblica
È scomparsa ieri Donna Marella. A sedici anni dalla morte del marito, Gianni Agnelli, se ne va con lei un pezzo del Novecento. Il secolo della borghesia creata dalle grandi avventure industriali e finanziarie. Il Novecento della nobiltà non archeologica, sfuggita alla conservazione museale di se stessa e disponibile a misurarsi con la vita. Il secolo delle élite con una attitudine cosmopolita e con codici di comportamento affini in ogni parte del mondo, con il senso che la cultura non è ancillare alla ricchezza, ma che la ricchezza senza cultura è poca cosa, anzi forse è niente.
L’alfabeto di Donna Marella, che era nata nel 1927, ricostruisce davvero quel particolare vocabolario: va appunto dalla A di Agnelli alla W di Warhol, dalla C di Caracciolo alla T di Truman (Capote), dalla N di New York alla T di Torino. E, oltre a ricostruire un vocabolario, suggerisce anche il codice linguistico e il meccanismo di funzionamento di una storia – italiana ed europea, americana ed occidentale - durata più di cento anni.
Il matrimonio celebrato con Gianni Agnelli nel 1953 nel castello di Osthoffen a Strasburgo è infatti un esempio paradigmatico del metodo adoperato dalle classi dirigenti per generarsi e rigenerarsi: unire nell’amore e nel matrimonio, nei sentimenti e nelle famiglie l’avvicendarsi delle élite. Il sangue e la ricchezza. La storia e il presente. Il passato e il futuro. Donna Marella era prima di tutto Marella Caracciolo di Castagneto, un fiore della antica nobiltà aristocratica napoletana (era figlia del diplomatico Filippo Caracciolo dei Principi di Castagneto) unitosi quel giorno a Gianni Agnelli, il nipote del senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat.
Da questa unione sono nati Edoardo e Margherita, che le ha dato otto nipoti: John, Lapo, Ginevra, Pietro, Sofia, Maria, Anna e Tatiana. Una unione – quella di Donna Marella e di Gianni Agnelli - segnata dalla tragedia della morte del figlio Edoardo, che si è tolto la vita nel 2000, e dal conflitto legale innescatosi con la figlia Margherita per questioni ereditarie dopo la scomparsa dell’Avvocato, avvenuta nel 2003.
La passione per l’arte – insieme alla letteratura la base della cultura comune delle élite cosmopolite del secolo scorso - l’ha portata a diventare membro dell’International Council del Moma di New York e del Tate International Council di Londra. E a comporre, con il marito, una collezione privata di Canaletto e Canova, Manet e Renoir, Picasso e Matisse, Severini e Modigliani. Una collezione donata alla Fondazione Giovanni e Marella Agnelli, ospitata nella struttura di vetro progettata da Renzo Piano che si trova sul tetto del Lingotto a Torino.
Il legame con l’establishment e il jet set americano - in quel suo inimitabile cocktail di arte e divertimenti, cultura e potere – ha evidenziato la centralità – in senso soprattutto “atlantico” - degli Agnelli: Gianni e Marella hanno contribuito a mantenere l’Italia, uscita sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale, nel novero delle democrazie occidentali garantendo personalmente, con le loro frequentazioni e il loro charme, per un Paese che stava rinascendo ma che aveva non poche macchie. La famiglia Kennedy. Truman Capote e le sue – le loro – amiche: da Gloria Vanderbilt a Pamela Harriman, da Babe Paley a Jacqueline Kennedy-Onassis. La celebre fotografia (lei, da sola) di Richard Avedon, in cui spicca il collo lungo ed elegante (da qui il soprannome “il cigno”). Le colorate serigrafie (lei con il marito) di Andy Warhol.
Realtà e rappresentazione. Vita pubblica e passioni private: il giardinaggio a Villa Frescot a Torino e nelle casa di Villar Perosa e di Marrakech. Una pratica descritta in “Giardino Segreto” (per Rizzoli nel 1998). E, poi, le piante e i fiori usati come punti di partenza per ricordare i propri incontri e le proprie esperienze in “Ho coltivato il mio giardino” (con la nipote Marella Caracciolo Chia, per Adelphi, nel 2014).
Raccontando di sé e del fratello Carlo, poco più che bambini a Firenze, scriveva in “Gocà”, l’autobiografia pubblicata da Adelphi nel 2015: «La notte, dalla finestra aperta, con Carlo, avevamo già scoperto le lucciole brillare, mobili e intermittenti sul prato davanti a casa. Quando l’afa cominciava a pesare su Firenze, in casa si decideva che era il momento di partire per la montagna». Donna Marella è partita per sempre.