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 2019  febbraio 23 Sabato calendario

Christian De Sica si racconta

Inverno 1953. Christian De Sica (anni due) si trova sul vasetto per fare popò. Siccome non si decide a ultimare l’operazione, un amico di famiglia gli siede accanto, sul vasetto del fratello Manuel (anni quattro). Non si sa se a condizionarlo sia il fatto che l’amico è Montgomery Clift (la star hollywoodiana che in quei giorni, diretto da papà Vittorio, gira Stazione Termini); fatto sta che il sistema funziona. «Con un solo inconveniente. Da quel giorno, se non c’era Montgomery Clift, io non facevo più popò». È questo il tipo d’irresistibili ricordi, a mezzo fra le memorie familiari e la polvere di stelle, che Christian De Sica regalerà, assieme al suo repertorio da amabile crooner di canzoni classiche (Gershwin, Porter, D’Anzi, Luttazzi) con Christian racconta Christian De Sica; il 30 marzo all’Auditorium a Roma, il 14 aprile agli Arcimboldi a Milano.
Più di un concerto...
«Sì, una festa tra amici, durante la quale, proprio come si farebbe fra amici, con l’aiuto del cerimoniere Pino Strabioli e di un’orchestra di cinquanta elementi diretta da Marco Tiso, pescherò a ruota libera tra canzoni e ricordi di una vita fortunata quanto incredibile». 
Qual è stata la prima delle fortune della sua vita? 
«Essere figlio di Vittorio De Sica. Sfortuna perché mi ebbe a cinquant’anni e l’ho perso che ne avevo solo 23. Fortuna perché ha popolato la mia vita di magiche opportunità. Come quando, ritardando a un appuntamento con Chaplin, per distrarmi Charlot improvvisò un balletto solo per me. O come quando, per farmi portare a Capri dove girava un film con la Loren, mi affidò a Clark Gable, sulle ginocchia del quale feci il viaggio. O come quando, al mio debutto canoro allo Sporting Club di Montecarlo, riunì un parterre de rois in cui c’erano (fra gli altri) Grace Kelly, Ranieri, Rudolph Nureyev, Sergio Mendes, Gene Kelly...»
Pur amando suo padre, però, lei non se n’è mai lasciato condizionare.
«Perché non ho preteso di rifare Ladri di biciclette. Ma ho preferito Bambole, non c’è una lira di Falqui. Ho trovato cioè un mio spazio, quello del varietà e della commedia, nel quale credo di essere diventato un numero uno. Ma ancora oggi, se mi dicono Assomigli a tuo padre, rispondo: magari!».
C’è un altro tratto che l’accumuna a suo padre. La popolarità non le ha mai dato alla testa.
«Non ho commesso l’errore tipico delle celebrità: chiudersi nelle proprie ville, lontani dalla vita reale. Una volta Visconti disse a papà: Tu non potresti più girare Ladri di biciclette, e io non potrei più fare La terra trema, perché noi non conosciamo più il presente. Io invece giro in motorino, ho fan più giovani dei miei figli, so com’è fatta il mondo d’oggi. E quando i quattordicenni m’incontrano gridano Bella, Chri!». 
Lontani i tempi in cui i critici lanciavano i loro anatemi contro i cinepanettoni di Boldi-De Sica.
«Il primo a sdoganarli fu Tullio Kezich. Se da vent’anni questi due fanno incassi stellari – scrisse (con quelli di Natale sul Nilo De Laurentiis ci si comprò il Napoli)- tanto deficienti non saranno. Quando dico che i nostri bisnipoti sapranno com’era l’Italia degli anni 80 e 90 con i cinepanettoni, più che con certi film d’autore, mi prendono in giro. È un po’ come i film di Totò e Peppino: spesso delle schifezze. Ma con quei dieci minuti che ne fanno dei cult». 
Per questo nessun cinepanettone è stato mai inserito nelle cinquine dei David di Donatello?
«Ieri l’ho detto a Piera Detassis, presidente del David: possibile che, a parte il film di Muccino, nessuno dei candidati sia stato un successo al botteghino? Alcuni il pubblico non li ha neppure visti! Perché snobbate attori come la Cortellesi, Ficarra e Picone, Zalone? Non parlo per me: io di David ne ho avuti tre. E a maggio girerò SOS fantasmi a Napoli, una horror comedy e con Fausto Brizzi la storia della reunion di un attempata banda rock, costituita da me, Ghini, Siani e Salemme».
Lo snobismo non sarà anche questione di gelosia? 
«Una sera mio padre e Roberto Rossellini seguivano in tv la cerimonia degli oscar. Quando fu annunciato come candidato al miglior film straniero Nanni Loy, con Le quattro giornate di Napoli, dissero: Bene, bravo Loy. Ma quando perse la statuetta, scattarono in piedi all’unisono per fare il gesto dell’ombrello. Ecco: quella sera capii com’è fatto il mondo del cinema».