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 2019  febbraio 23 Sabato calendario

Intervista a Susanna Tamaro

«È un bell’anniversario. Festeggio trent’anni di carriera, perché La testa fra le nuvole uscì nell’89, e mezzo secolo di Va’ dove ti porta il cuore» dice Susanna Tamaro. Per i venticinque anni del suo bestseller – nel senso vero della parola, quindici milioni le copie vendute dal 1994 – Bompiani ha preparato una edizione speciale, che uscirà il 27 marzo; e, nel frattempo, ha riportato in libreria altri quattro romanzi della scrittrice triestina: Anima mundi, Più fuoco, più vento, Ascolta la mia voce e Per sempre. «Dopo tutti questi anni, Va’ dove ti porta il cuore è ancora lettissimo: non è facile. E anche all’estero va ancora bene».
Come spiega questo successo?
«Perché è un classico. Se un libro resiste all’usura e alle mode vuole dire che tocca qualcosa in profondità, nell’animo umano. Per uno scrittore è il massimo della felicità. Ha segnato la cultura letteraria italiana: non quella dei critici, che hanno sparato a zero, ma della gente».
Che cosa fa la gente?
«Incontro persone che ancora mi parlano del libro e mi dicono che lo rileggono, a diverse età. Perché ha poche pagine, ma una grande complessità».
Perché i critici hanno sparato a zero?
«Primo, perché sono una donna. Non sono mai stata femminista, ma in Italia è motivo di demerito. Poi non sono mai stata di sinistra, non ho mai sposato le ideologie correnti, neanche da giovane».
L’ha penalizzata?
«Il pensiero autonomo non è mai apprezzato. E poi non faccio vita mondana, non vado alle cene, non sono manipolabile, non ho relazioni e complicità con i critici, come gli autori furbi... Penso che queste tre cose siano state deleterie. Con la critica, non con la gente, che invece mi ferma e mi dice: Non cambi, le vogliamo bene così».
Deleterie come?
«Non ho mai ricevuto una laurea honoris causa o un premio importante. Letterariamente, dal punto di vista ufficiale sono fuori».
Se milioni di persone la leggono e i critici invece la snobbano, non è che ci sarà una contrapposizione fra il pubblico e la presunta élite?
«In qualche modo sì. Negli ultimi dieci anni però molti si sono disintossicati dal veleno della critica e mi dicono: non la leggevo per principio, che cretino sono stato ad ascoltare i critici...».
Dopo Va’ dove ti porta il cuore è arrivato Anima mundi.
«La fine totale della mia carriera».
L’hanno accusata di fascismo.
«Certo, certo. In Italia, quando vuoi far fuori uno per sempre lo accusi di quello. Non sarà mai più nel Pantheon. Tutto perché il protagonista leggeva Evola, e perché citavo i gulag di Tito: per me, che sono di Trieste, sono una grande tragedia del ’900, che va affrontata».
Invece?
«Non me l’hanno perdonato. E poi non mi hanno perdonato il fatto che sia un libro molto importante. Da me si pretendeva che fossi una cretinetta. Però io non ho scritto Il cuore mi ha portato, ho scritto una critica del Novecento. E questo ha irritato. Volevano i Baci Perugina».
Non glieli ha dati?
«Ma neanche Va’ dove ti porta il cuore è da Baci Perugina: è la storia del fallimento di una vita, ci sono la ferocia, la cattiveria umana, la lucidità, la crudeltà. Il fatto è che il cuore è il grande tabù della società contemporanea: i genitali no, ma il cuore terrorizza tutti, perché è la complessità dell’animo umano».
L’hanno sempre tacciata di sentimentalismo.
«Ma certo. Se scrivi del cuore pensano a cose per commesse. Eppure la Bibbia e i classici sono tutti basati su quello. Se in Anima mundi avessi messo un monaco buddista avrei ricevuto meno insulti, perché fa impegnato; invece c’è una suora cattolica, e questo ha attirato ancora più disprezzo. Perché dominano dei cliché limitati, ottusi».
Il protagonista dice: «Io non so pregare» e la suora risponde: «Nessuno lo sa. Per imparare bisogna prima mettere da parte l’orgoglio». Crede nel potere della preghiera?
«Sì.Nel mondo esiste una parte di mistero importante, agìta da forze che non vediamo, ma che esistono, e con le quali possiamo parlare. Non è detto che ci ascoltino».
Usa parole «scandalose». Preghiera, appunto, e poi felicità, anima, coscienza, solitudine, umiltà, autenticità... In Più fuoco, più vento parla anche di fede.
«L’argomento è molto tabù. La rimozione della parte dell’uomo legata al mistero è uno dei crimini della post modernità e porta all’appiattimento. La fede è un antidoto all’omologazione: ti permette di non diventare una fotocopia».
Quali temi tocca Va’ dove ti porta il cuore, per i quali è così longevo?
«I rapporti fra generazioni: le crisi e le difficoltà. E poi la spiritualità, filo rosso del libro. Nel finale, quando scrivo ascolta il tuo cuore, non intendo un capriccio, bensì lo Spirito santo, la voce profonda nell’essere umano, la voce del mistero. Infatti il libro è molto letto nei conventi, perché è denso di spiritualità».
Perché è stato così travisato allora? Per il titolo?
«Per il titolo sicuramente. Non solo però. Prima di pubblicarlo lo feci leggere a una persona dell’editoria e mi disse: Chiudilo in un cassetto, sarà la fine della tua carriera. Dimenticatelo. Per fortuna non ho ascoltato».
Perché le disse così?
«Mi spiegò: Non capisci, è un libro fascista. E io: Ma perché?. Risposta: Perché scrivi che l’amore richiede forza. Questo dava fastidio. Ero esterrefatta».
E oggi?
«Beh, a 62 anni... Il fatto è che mi hanno attribuito di tutto: mi hanno gettato addosso tutta la spazzatura possibile, perché sono fuori dai canoni. In Anima mundi poi c’è la descrizione del sottobosco romano del cinema e della Rai degli anni ’80, che conosco molto bene, purtroppo».
Purtroppo?
«Sì sì, purtroppo. Erano anni terribili per chi faceva quel lavoro, come me, e non era furbo. Comunque, anche quello irritò moltissimo. Del resto scrivo quello che penso, non penso agli effetti che può suscitare».
Come convive con la spazzatura?
«Un po’ di tempo fa a Vienna ho parlato in pubblico, in un centro commerciale in periferia, un posto tristissimo, desolato. Una ragazza si è avvicinata e mi ha detto: Anima mundi mi ha salvata, mi ha cambiato la vita. Di fronte a questo, tutta la spazzatura si volatilizza».
Che cos’è l’ipocrisia di cui parla nei suoi libri?
«Oggi c’è il politicamente corretto, terribile: una dittatura del pensiero per cui non puoi uscire dal seminato, già preparato col becchime. Non c’è il coraggio di andare fino in fondo, nei rapporti e in sé stessi. È una prigione».
L’ipocrisia è anche dei critici?
«Sì, assolutamente. Fino a Va’ dove ti porta il cuore erano sprezzanti, ma paternalistici. Avevo quell’aria da ragazzina... Con Anima mundi si è scatenato il furore: hanno capito che ero fuggita dal recinto in cui avrebbero voluto chiudermi, quello dei libri sentimentali. Che poi, molti di loro poi hanno scritto proprio dei libri sentimentali, e pure di cattivo gusto; solo che nessuno lo ha detto, perché loro avevano gli amici nei posti giusti».
Respinge l’accusa al mittente?
«Io il sentimentalismo non so dove si compri. Mi occupo di sentimenti, che sono la parte fondante dell’animo umano. Ma molti li confondono con il sentimentalismo. È come confondere la bontà con il buonismo, che è ipocrisia. Tutto ciò che è ismo è deteriore per me, perché è ideologia: io mi curo della verità profonda, nella quale non c’è spazio per le ideologie, che sono falsificazioni».