Corriere della Sera, 23 febbraio 2019
Gli italiani e il voto: l’economia conta meno nelle urne
Ha ragione dunque chi parla di scissione tra economia e politica nelle opinioni e i comportamenti degli italiani. Ieri infatti l’Istat ha pubblicato una nuova rilevazione sul livello di soddisfazione dei nostri connazionali per le loro condizioni di vita. Vale la pena di sottolineare come le interviste su cui si basa l’elaborazione siano state realizzate tra il febbraio e l’aprile del 2018, a cavallo dunque del voto politico. È un dettaglio importante da tenere a mente per le considerazioni che si porta dietro. Ma veniamo ai dati: le persone dai 14 anni in su che esprimono un’elevata soddisfazione per la propria vita passa dal 39,6% al 41,4%, in aumento anche la quota di italiani soddisfatti della propria situazione economica salita in un anno dal 50,5% al 53%. Stabile la soddisfazione per la dimensione lavorativa (a livelli alti comunque: 76,7%), migliorato il giudizio sull’adeguatezza delle risorse economiche familiari (dal 57,3% al 59%). Per le relazioni interpersonali prevale un atteggiamento di cautela (il 77% dice che bisogna stare molto attenti e solo il 21% crede che «gran parte della gente è degna di fiducia»). Più diffidenti le donne che gli uomini e comunque solo un 13,1% complessivo pensa che il suo portafoglio una volta smarrito gli verrà restituito. Fin qui la fotografia made in Istat ma le considerazioni che si possono fare mettendo in relazione l’alto indice di soddisfazione degli italiani e i risultati del 4 marzo sono forse le più stimolanti. Anche in questo caso con un piccolo flashback vale la pena ricordare come nella primavera del ‘18 l’economia italiana si giovasse ancora di un ciclo di crescita non disprezzabile iniziato nel ‘16 ma in questo caso le variazioni positive del Pil non hanno favorito i partiti di governo, non hanno concesso loro un dividendo. Anzi, l’elettore nella cabina non si è fatto guidare dalle sensazioni positive che aveva confidato ai ricercatori dell’Istat, ha scelto invece la discontinuità assoluta. L’economia a sviluppo seppur moderato non ha guidato la sua mano e hanno prevalso altri tipi di considerazioni. «C’è stata una relativa indipendenza tra la dimensione economica e quella politica», conferma Nando Pagnoncelli. E il fenomeno non è solo italiano, se pensiamo al voto americano e al cambio Obama-Trump. Il rancore ha battuto il Pil, l’antropologia negativa ha prevalso su quella positiva, il giudizio sulla «vecchia politica» e un certo favore verso i nuovi attori politici hanno fatto il resto. Se vogliamo possiamo anche aggiungere che gli italiani tendono, quasi sempre, a separare l’opinione sulla propria soddisfazione privata (riferita alla cerchia ristretta delle relazioni) da quella pubblica (rapportata invece al sistema Paese). Le riflessioni sul nesso economia/politica, mood economico e consenso politico possono ovviamente estendersi anche all’attuale stagione che vede la coalizione vincitrice del 4 marzo conservare una quota elevata di suffragi. Almeno per quanto ci possono dire i sondaggi. Ma, ed è questa la domanda più calda, a fronte di un contesto economico che tende rapidamente al peggio quali conseguenze si possono ipotizzare? L’opinione degli addetti ai lavori è che anche in questo caso l’economia non influenzerà automaticamente la politica. In primo luogo perché, come testimonia l’indice di fiducia dei consumatori (salito da 113,2 a 114), ad avere l’esatta percezione dei gravi rischi di recessione per ora sono le imprese e non le famiglie, e poi soprattutto perché Salvini e Di Maio sono considerati al debutto e beneficeranno quindi di una franchigia più larga di quella tradizionalmente riservata ai governanti di lungo corso.