Corriere della Sera, 23 febbraio 2019
Campione del calcio cinese internato per un anno
Erfan Hezim è considerato uno dei giovani talenti del calcio cinese. Attaccante del Jiangsu Suning (la squadra del miliardario Zhang, proprietario anche dell’Inter), nazionale Under 19. Fino all’inizio dell’anno scorso, se si fosse fatta una ricerca su di lui con Google, sarebbe balzato fuori al primo posto un video nel quale nel 2017 segnava un gol all’Ungheria con una rovesciata da antologia. Ma poi sullo schermo compariva il nome Ye Erfan. Così infatti lo conoscono i tifosi della Repubblica popolare. E qui comincia il problema: Hezim è un cognome dello Xinjiang, uiguro e musulmano, così è stato «cinesizzato» in Ye.
A febbraio dell’anno scorso Erfan è improvvisamente scomparso, subito dopo una trasferta di gioco in Spagna, dove aveva ammirato Messi e aveva postato sui social network una foto con il suo idolo argentino, e poi in Dubai.
In quelle settimane di inizio 2018 nello Xinjiang si stava inasprendo ulteriormente la campagna anti-estremismo islamico lanciata da Pechino. Si cominciava a parlare di «campi di rieducazione» dove venivano rinchiusi i sospetti.
E in uno di quei campi era finito il diciannovenne Erfan, assieme ad altre migliaia e migliaia (le organizzazioni umanitarie internazionali sostengono un milione) di uiguri.
Per molti mesi non sono state date risposte alle richieste di chiarimento sui motivi della scomparsa del ragazzo, erano caduti nel vuoto anche gli appelli alla liberazione da parte della Fédération Internationale des Associations de Footballeurs Professionnels: «Restituitelo alla famiglia e alla sua carriera di calciatore».
«Radio Free Asia» nei mesi di buio ha raccolto voci e conferme semiufficiali secondo cui il calciatore è caduto nella trappola dell’ottusità burocratica, quasi più pericolosa e odiosa della pura repressione. Dopo la tournée sportiva in Spagna e Dubai, il ragazzo aveva dei giorni liberi dagli allenamenti con il Suning e da Nanchino era tornato nello Xinjiang, a salutare parenti e amici. Le regole anti-estremismo religioso prevedono l’internamento come sospetti degli uiguri che vanno all’estero, in Paesi islamici come Dubai: così, controllando i visti sul passaporto, senza badare alle sue buone ragioni, la polizia di un villaggio dello Xinjiang avrebbe inviato il calciatore in un campo di rieducazione e indottrinamento.
Sono trascorsi dodici mesi e c’è una buona notizia: Erfan è stato appena liberato ed è subito tornato ad allenarsi con il Suning. Sia lui sia il suo allenatore hanno postato foto mentre gioca ed è schierato con i compagni di squadra.
Hezim-Ye ha aggiunto un commento: «Grazie al Partito e al Governo che mi permettono di realizzare i miei sogni».
Nessun accenno a quello che ha dovuto affrontare nel periodo oscuro. Ma a ottobre, ufficialmente, nel tentativo di dare risposte alle proteste e accuse internazionali, Pechino ha ammesso l’esistenza delle «strutture di educazione ideologica per eliminare l’estremismo e aiutare i soggetti a trasformare i loro pensieri e rientrare nella società e nelle loro famiglie». Tradotto dal linguaggio fumoso: campi di internamento senza processo.
Nelle ultime settimane stanno giungendo notizie di rilasci di uiguri che hanno «terminato il programma». Ma anche denunce di nuovi arresti e sparizioni. Erfan è tornato a indossare la maglia blu del Suning, ha bruciato un anno, come per un grave infortunio di gioco. Ma la ferita dello Xinjiang resta aperta.