Libero, 23 febbraio 2019
I grillini vogliono lasciare Formigoni in galera col trucco
Il troglodita medio – il grillino, insomma – gioisce perché Roberto Formigoni non andrà in detenzione domiciliare, e questo per ragioni che val la pena di spiegare anche a prescindere dal suo caso. Al suo caso, questo sì, è associata anzitutto una mancata volontà politico-giudiziaria di favorirlo: Formigoni è antipatico a molti e nessuno si dannerà per trovare quel genere di scappatoie che la giustizia è sempre in grado di trovare, se vuole: ma non vuole. Al suo specifico caso, pure, è legato il paradosso che il magistrato di sorveglianza che deciderà sulla detenzione domiciliare di Formigoni è lo stesso giudice che condannò Formigoni in primo grado: si chiama Gaetano La Rocca e ai tempi, dicembre 2016, era presidente della decima sezione penale del tribunale: gli diede 6 anni. Il primo spunto di riflessione, quindi, è che la giustizia italiana, quando vuole, sa essere velocissima, visto che tra il primo grado e la Cassazione sono passati solo due anni e due mesi. Secondo spunto: a quanto pare, e lo dice la legge, un magistrato di sorveglianza può tranquillamente rioccuparsi di un suo condannato. Il terzo spunto di riflessione è legato al fatto che questo giudice, pur non avendo ancora valutato gli atti e avendo tempo per farlo, pare abbia già deciso: ieri l’agenzia Ansa titolava «Pg Milano pronta dire no a domiciliari Formigoni», spiegando che «negli uffici giudiziari si fa notare che il reato di corruzione, in base alle norme della “spazzacorrotti”, è ostativo alle misure alternative al carcere».
TRIONFA LA DEMAGOGIA
Il che è vero. La mentalità medievale grillina ha recentemente introdotto la corruzione tra i reati che non prevedono la concessione di misure alternative al carcere e altri benefici penitenziari: questo in compagnia di reati di sangue, di mafia, terrorismo, estorsione eccetera. Un’assurdità immotivata se non dalla bassa demagogia di chi seguita a dipingere la corruzione tra i principali problemi del Paese, dato acclaratamente falso. I legali di Formigoni, in tal senso, hanno già cercato di sostenere che la legge «spazzacorrotti» (che appunto ha reso ostativa la corruzione) essendo molto recente non può essere applicata al caso in specie perché è peggiorativa rispetto a quando i fatti-reato sono accaduti: purtroppo la giurisprudenza della Cassazione ha già chiarito che le norme sull’esecuzione della pena sono applicabili a un processo in corso, che nel caso di Formigoni si è appena concluso. Ma sono anche altre le ragioni per cui Formigoni non andrà in detenzione domiciliare, che non va confusa con gli arresti domiciliari che sono una misura cautelare legata alle indagini preliminari. Una ragione è che Formigoni sta benissimo, o così risulta: avere 71 anni, o anche 80 o 90, non rende automaticamente incompatibili con la carcerazione, ma permette solo di presentare un’istanza affinché il tribunale di sorveglianza valuti se le condizioni di salute siano idonee a stare in carcere.
LE RIFORME ABORTITE
Un’altra regola spesso dimenticata è che la detenzione domiciliare non potrebbe essere concessa per più di quattro anni: Formigoni è stato condannato a più di cinque. Insomma, gli spunti di riflessione proseguono e vanno tutti nella direzione di una totale discrezionalità dei magistrati, eventualmente contraddetti soltanto da altri magistrati. La verità, banale, è che la detenzione domiciliare in Italia viene concepita come un premio o un ripiego e non come una soluzione, spesso concessa a chi debba scontare un residuo di pena non superiore a due anni, anche se dal 2012 esiste anche una detenzione domiciliare speciale prevista solo per gli ultimi 18 mesi di pena. In qualche caso c’è il problema che molti il domicilio manco ce l’hanno (per varie ragioni) e neppure parliamo delle concessioni particolari legate alle madri o padri con prole infante. Ma la stiamo mettendo troppo sul tecnico. Quello che stiamo trascurando è che la detenzione domiciliare rappresenta probabilmente il futuro della detenzione, essendo meno costosa – le spese sono a carico del detenuto – e riservando solo a individui realmente pericolosi la costruzione di galere sempre insufficienti e sovraffollate. Ma alla grassa ignoranza grillina non puoi opporre temi di diritto o l’articolo 27 della Costituzione: «Formigoni è solo il primo», tuonava ieri un tronfio Stefano Buffagni, sottosegretario alla presidenza del Consiglio che era tutto contento perché qualcuno andava in galera: «Niente più favori per i colletti bianchi e la politica». Lontani i tempi in cui alcune persone normali, che avevano studiato e che erano addirittura competenti, facevano il ministro della Giustizia – come Paola Severino del governo Monti, o Anna Maria Cancellieri del governo Letta – e proponevano che la detenzione domiciliare potesse essere comminata direttamente dal giudice, senza bisogno di passare in seguito dal tribunale di sorveglianza. Le stesse norme prevedevano la possibilità di non far entrare in carcere chiunque avesse compiuto i 70 anni. Soluzioni futuribili – interrotte assieme alle legislature – a cui gli stati moderni sono mediamente già arrivati, forse perché non hanno dovuto fare i conti col ritorno all’età della pietra che la visione vendicativa e frustrata dei trogloditi grillini sta tornando a imporre. Gioendo, ora, per il carcere imposto a una persona che ha contribuito a rendere la Lombardia una delle ragioni più avanzate d’Europa come loro, i grillini, non riuscirebbero a fare in cento, mille delle loro inutili vite.