La Stampa, 23 febbraio 2019
Intervista a Davigo: «In Italia pochi in galera»
«Arrivo alle 7,15 per studiare le pratiche. Dopo 40 anni di processi, una nuova vita: un magistrato non ha la mentalità del grand commis». Otto del mattino nell’ufficio di Piercamillo Davigo, da «dottor sottile» di Mani Pulite a giudice più votato al Csm.
Le piace il nuovo lavoro?
«Il plenum è spesso una noia mortale: su 100 pratiche, 97 sono banalità».
Lei è nella commissioni sugli incarichi. La più ambita.
«La più sgradevole. Chi vince non ti è grato perché convinto di meritarlo, gli altri ti ritengono responsabile della loro mancata nomina».
Il sistema funziona?
«Si valutano titoli che talvolta coincidono con quelle che io chiamo, in modo volutamente sprezzante, medagliette. Progetti organizzativi, incarichi di coordinamento, organismi di studio. Cose che gonfiano i curricula senza avere niente a che vedere col lavoro giudiziario».
Qual è la conseguenza?
«L’organizzazione è diventata la grande e deleteria passione della categoria. Insegniamo ai giovani magistrati a tenere le carte a posto. La mentalità aziendalistica della produttività per i magistrati è una sciocchezza».
I magistrati, come tutti, non devono produrre di più?
«Lavoriamo già il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi. Pensare di risolvere la crisi della giustizia aumentando la produzione è folle».
Qual è il problema, allora?
«La domanda patologica di giustizia. In Francia si appella il 40% delle sentenze di condanna a pena da eseguire, in Italia il 100%. Quindi anche i patteggiamenti: negli Usa sarebbe oltraggio alla Corte».
Che cosa si può fare?
«L’unica parte buona del processo è il pubblico ministero, per definizione legislativa. Le parti private fanno i propri interessi. Oggi conviene delinquere, non pagare i debiti, impugnare le condanne. Non si ha niente da perdere. Invece bisogna incentivare i comportamenti virtuosi».
Come mai tanti risarcimenti per ingiusta detenzione?
«In buona parte non si tratta di innocenti, ma di colpevoli che l’hanno fatta franca. Di norma le prove raccolte nelle indagini non valgono in dibattimento. Ciò allontana il giudice dalla verità. Per non dire dell’appello, dove buona parte delle assoluzioni dipende dalla difficoltà di conoscere a fondo il processo».
Non si arresta troppo?
«Tutt’altro: in Italia in galera ci vanno in pochi e ci stanno poco. Crescono solo gli arrestati in flagranza e quelli per terrorismo e mafia».
I Renzi, anziani incensurati, per bancarotta e fatture false.
«Non posso parlare di vicende in corso».
Questo governo promette più carcere e più carceri.
«Gli stessi che vogliono la legittima difesa assoluta hanno approvato leggi che sostanzialmente impediscono la custodia cautelare anche con gravi indizi e pericolo di reiterazione, se non attuale. Lasciamo liberi i delinquenti per potergli sparare in casa. Non è meglio incarcerarli?».
Cosa pensa delle politiche securitarie del Viminale?
«Da un lato si alimenta, grazie alle tv, un allarme sicurezza inesistente; dall’altro si fanno operazioni che poco c’entrano con la sicurezza».
Per esempio?
«Strade sicure. Io sono tutt’altro che anti-militarista: ho fatto persino il richiamo alle armi. Ma mettere i soldati per le strade è cosa dissennata».
Il controllo del territorio non è importante?
«Le politiche di sicurezza servono all’ordine pubblico, quelle di rassicurazione a illudere i cittadini. Se istituisci una nuova caserma, i carabinieri sono sempre gli stessi, distribuiti diversamente. Meno auto in strada, più piantoni a rispondere al citofono».
E la legittima difesa?
«Spero non passi: saremmo condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».
Benzinai, tabaccai e negozianti sarebbero più sicuri?
«Aumenteranno i morti. Non tra i delinquenti, ma tra le vittime di furti e rapine. Avere le armi e saperle usare è diverso da essere pronti a uccidere, come insegnano i western. Sapere che il derubato può sparare, indurrà il ladro ad armarsi e a sparare prima».
Corruzione: l’Italia migliora nelle classifiche internazionali. Si ruba di meno?
«Il costo delle opere pubbliche continua a essere molto più alto che nel resto d’Europa. È un pessimo segnale».
Lei andrà all’Autorità anticorruzione dopo Cantone?
«Non ci penso nemmeno. È difficile scoprire la corruzione con gli strumenti, pur penetranti, riservati all’autorità giudiziaria. Un’autorità amministrativa non ha possibilità di scoprire alcunché. Far credere che l’Anac sia il rimedio è fumo negli occhi».
L’Anac è inutile?
«La definirei un’arma di distrazione di massa».
Va abolita?
«Radicalmente cambiata: un centro di ricerca culturale, in raccordo con le Università».
E l’attività di prevenzione?
«Non serve a niente. I piani anti-corruzione sono per lo più copiati, talvolta non cambiano nemmeno il nome sul frontespizio. Una vergogna».
Il Codice degli appalti?
«Fantascienza, un film di Star Trek. Nel mondo reale più le gare sono truccate e corrono le tangenti, più le pratiche sono ineccepibili».
Qual è l’alternativa?
«Mandare un ufficiale di polizia giudiziaria sotto copertura a partecipare alla gara. Quando gli propongono un accordo tira fuori le manette e li arresta».
Nemmeno i magistrati vogliono l’agente provocatore.
«Si fa per droga, terrorismo e pedopornografia. Ci si pone dilemmi etici solo per i ladroni, non per il fatto che la polizia postale mette in rete, come esca, foto di bimbi nudi».
Lei non è mai intervenuto sul ruolo della Procura di Milano nelle inchieste Expo.
«Il mio ruolo me lo impedisce. In generale, è inaccettabile la subordinazione dell’azione penale a valutazioni sulle conseguenze economiche. Apprezzare la ragion di stato non è compito nostro».
Anche per il caso Diciotti?
«La valutazione spetta al Senato nei limiti previsti dalla legge costituzionale».
Premier e due ministri hanno detto: era una linea condivisa da tutto il governo.
«Di per sé, una chiamata di correo. Dal punto di vista giuridico non attenua la responsabilità penale, ammesso che il reato ci sia».
Da quando lei è arrivato al Csm sono aumentate le assoluzioni disciplinari.
«Lo rivendico: assolviamo per le sciocchezze e pugno di ferro sulle cose gravi. Prima era il contrario: forti coi deboli, deboli coi forti».
E ora?
«Forti con i forti, misericordiosi con i deboli».
Chi deposita sentenze in ritardo merita misericordia?
«Se è sommerso di fascicoli e lavora più della media sì. Non puoi rimproverare di avere le scarpe slacciate a uno scampato allo tsunami».
Tra i colleghi lei è più stimato che amato.
«Lo so. Perché sono intransigente. Calamandrei scrive che per i magistrati la peggior sciagura è ammalarsi del terribile morbo che affligge i burocrati: il conformismo».
Il morbo si sta diffondendo?
«Purtroppo sì».