la Repubblica, 23 febbraio 2019
Quei boss sempre più insofferenti per la latitanza di Messina Denaro
Intanto è vivo. Perché, fino a qualche mese fa, qualcuno lo dava sicuro per morto. Non sentivano più il suo respiro, chi “ascoltava” i rumori e i silenzi della mafia siciliana non riusciva più a trovare neanche la più piccola traccia della sua presenza su questa terra.
Il certificato di esistenza in vita di Matteo Messina Denaro, altrimenti conosciuto fra gli uliveti di Castelvetrano come “U Siccu” o “Diabolik o “Testa dell’Acqua”, è un’operazione investigativa (firmata dai reparti speciali dei carabinieri) che attesta lo stato di buona salute dell’ultimo boss dei Corleonesi. È vivo e ha ancora qualche amico nella politica e nell’imprenditoria che abita nelle misteriose terre trapanesi. Lo coccolano, lo proteggono, lo nascondono ma sono anche stanchi di quello lì. Porta troppi problemi, con quel nome e con quel passato è troppo ingombrante anche per loro.
Oggi, mentre scriviamo, ha pure superato di un anno esatto il record di “irreperibilità” del vecchio Totò Riina che fu latitante per 24 anni e sei mesi. Matteo è scomparso dalle bombe dei Georgofili che nel 1993 fecero tremare l’Italia, da quel momento di lui abbiamo saputo tutto – che colleziona Rolex e fumetti, che ama i videogiochi, che è ateo, che legge Pennac e Jorge Amado, che gli piacciono assai le ragazze – tranne dov’è.
Prendono tutti quelli che stanno intorno a lui però lui mai. Sono più di duecento o forse anche più di trecento quelli che definiscono fiancheggiatori e che sono finiti dentro per averlo aiutato, ogni volta c’è qualcuno che dice che “il cerchio si stringe”, non c’è ministro dell’Interno o procuratore nazionale antimafia che dal 2000 non abbia annunciato la sua “imminente cattura” ma Matteo resta sempre un fantasma. È una caccia infinita, surreale. È passato oltre un quarto di secolo e Matteo dà notizie di sé solo tramite terzi.
Come questi personaggi scivolati ieri nella rete. Quel Calogero John Luppino re delle scommesse on line e delle slot machine con giri vorticosi con Malta o come il deputato regionale Stefano Pellegrino, che per Forza Italia stava nella commissione antimafia regionale e nel frattempo riceveva l’appoggio elettorale dei malacarne amici di Matteo.
Leggendo le intercettazioni telefoniche di quest’ultima retata dei carabinieri, che fa terra bruciata intorno a “Testa dell’Acqua”, si comprende molto di ciò che Matteo rappresenta nella Cosa Nostra e in Sicilia. Che lui c’è e non è defunto, che lo devono tenere al riparo, che a volte mal lo sopportano, che subiscono la sua figura sempre più scomoda. Un’intercettazione: «Alzati Matteo..». Un’altra intercettazione: «Fino a quando non prendono a questo cane siamo tutti consumati». Una terza intercettazione: «Tutti ti (ci, ndr) legano a questo deficiente».
Gli stanno attorno e gli assicurano l’invisibilità ma ne possono più di avere addosso le attenzioni della più potente macchina poliziesca-giudiziaria per colpa di quello che nel bollettino del Viminale è il ricercato numero uno. Cerchiamo di spiegare come stanno le cose. Matteo Messina Denaro è un superstite di una stagione di mafia che non c’è più. Appartiene ad una aristocrazia criminale che ha ideato ed eseguito le stragi siciliane del 1992, ha un “sapere” mafioso che lo scaraventa nell’olimpo dei grandi boss ma che l’ha condannato al ruolo di capo dei capi. Una posizione che non ha e che soprattutto non vuole avere. Non è lui l’erede di Totò Riina o di Bernardo Provenzano. Non è lui il nuovo capo e non lo diventerà mai. Primo perché è trapanese e non è palermitano (e la nuova Cosa Nostra, se un giorno si rifonderà, lo farà solo nella capitale dell’isola), poi perché è proprio Matteo che non ha il desiderio di diventare il leader di una compagnia allo sbando, una “mafia degli emarginati” soppiantata da una mafia “incensurata” e ben più legata a pezzi di Stato che in Italia continuano a dialogare con le “classi pericolose”.
Matteo Messina Denaro rappresenta il mondo di mezzo in una stagione di transizione e di grandi cambiamenti. Suo malgrado si è ritrovato “latino” (latitante) e investito di una missione che non è e che non sente sua. Chi gli è intorno fa quello che può. Lo difende. Ma fino a quando? Fino a quando gli altri continueranno a dire che “il cerchio si stringe” senza conoscere mai il suo volto? Ogni cattura di un grande latitante – e in tutte le latitudini del globo – ha le sue regole. Così, a naso, sentendo cosa dicevano gli ultimi amici di Matteo arrestati, ci sembra che quel momento questa volta sia abbastanza vicino.