La Stampa, 22 febbraio 2019
Spiegare la Commedia chiedendo consiglio a Dante
Ammoniva un poeta che «la bellezza è difficile» ed era un secolo in cui ancora non appariva così impervia come a noi. Nel bar-sport globale di internet oggi impera la democrazia al ribasso del «nous sommes tous frères et cochons», l’onere della prova è abolito e vale solo ciò che si ottiene senza sforzo. In questo clima, l’apparizione di un nuovo gioiello della cultura italiana rischia di sembrare il monolito di Odissea nella spazio, calato dal cielo tra lo sconcerto dell’afasica tribù. Sarebbe invece giusto sparare con il cannone la notizia che, dopo quindici anni di durissimo lavoro d’équipe, è finalmente terminata la prima edizione critica dell’Ottimo commento alla Divina Commedia, uno dei primi tentativi organici di interpretazione dell’opera di Dante, intorno al 1330.
Quindici anni di lavoro
L’impresa, sotto l’alto patronato della presidenza della Repubblica e dell’Unesco, insieme con la Fondazione del Banco di Napoli e il Centro Pio Rajna per la ricerca letteraria, linguistica e filologica, è il frutto della collaborazione Sud-Nord tra studiosi dell’università di Napoli e quella di Pavia: Massimiliano Corrado, Vittorio Celotto, Ciro Perna (tutti di scuola napoletana) e Battista Boccardo (pavese). E molti altri nomi sarebbero ancora da citare per questa impresa, realizzata grazie anche all’intervento dei privati, in un momento di povertà e abbandono dei nostri atenei.
Si può dire che sia la prima edizione di un lavoro finora relegato negli antichi manoscritti. Tra il 1827 e il 1829 uscì a Pisa un’edizione integrale impaginata da Niccolò Capurro e curata dall’erudito veronese Alessandro Torri che però impiegò una pessima copia dell’originale. Come scrisse allora Giovan Battista Picciòli, bibliotecario della Magliabechiana di Firenze: «Gli errori dell’antico copiatore del Codice uniti a quelli del moderno Editore vi abbondano talmente, che poche sono le pagine, per non dire i periodi, ne’ quali il lettore non trovi qualche ostacolo a coglierne il senso».
Spiega Ciro Perna dell’Università di Napoli, che ha curato il quarto volume dell’odierna edizione: «Il Torri per la sua opera aveva consultato soltanto due manoscritti, mentre per l’odierno Ottimo sono stati consultati quarantanove testi e quattro per l’Amico dell’Ottimo tra cui un’antica vulgata di Andrea Lancia».
Ancora nell’Enciclopedia Dantesca del 1970, il notaio fiorentino Andrea Lancia era considerato l’autore dell’Ottimo, un punto fermo della critica dal ‘700 in poi, ma più recentemente studiosi come Gabriella Pomaro e Luca Azzetta hanno dimostrato come l’attribuzione non tenga. Chi scrisse il trattato resta tutt’ora celato all’ombra di una secolare anonimia. Il nome Ottimo commento ha il copyright degli accademici della Crusca che lavorarono al primo Vocabolario della lingua italiana, pubblicato nel 1612.
Il testo, insieme con quello dell’Amico dell’Ottimo, creduto una versione tarda dello stesso studio, ma poi riconosciuto come un contributo autonomo e ora raccolto nel quarto volume dell’opera complessiva, (Ottimo commento alla “Commedia” e Chiose sopra la “Comedia” dell’Amico dell’Ottimo, Salerno editore, 4 volumi, pp. 2800, € 290), è cruciale per gli studi danteschi anzitutto perché l’autore sostiene di aver potuto consultare Dante medesimo. Accade in due glosse, a Inferno X, 85 e XIII, 144. Nella prima, L’Ottimo scrive a proposito dell’uso della parola tempio nella cantica di Farinata: «Io scriptore udii dire a Dante che mai rima nol trasse a dire altro che quello ch’avea in suo proponimento; ma che elli molte spesse volte facea li vocaboli dire nelle suoi rime altro che quello che erano apo li altri dicitori usati di sprimere». E in un appunto al canto di Pier delle Vigne, dove si dice che Marte, primo patrono di Firenze, vuole vendicarsi per essere stato scacciato dal culto cristiano, l’autore sostiene di basarsi sulla viva testimonianza del Poeta: «Domandandonelo, li l’udii così racontare...».
L’Amico geniale
L’Ottimo è anche importante, spiega nella premessa Enrico Malato, professore emerito di Letteratura italiana presso l’Università di Napoli, «perché rappresenta il primo tentativo di riappropriazione da parte di Firenze dell’opera e del suo poeta, per iniziativa di un commentatore còlto, con forte connotazione cittadina». Dopo il breve apparato di chiose all’ Inferno di Iacopo Alighieri (nel 1322 ca.), i primi tentativi di interpretazione del poema avvengono in regioni nord-orientali e centro-occidentali d’Italia, che vedono ai margini non tanto la Toscana, quanto in particolare la città di Firenze.
Immagini dantesche
Cruciale è il commento del cosiddetto Amico dell’Ottimo, che risale agli Anni 40 del XIV secolo e che si avvale di una profonda conoscenza del commento dell’Ottimo. All’autore dell’Amico, spiega Ciro Perna, «va il merito di aver razionalizzato con intelligenza una ingente mole esegetica vagliandone le opzioni, scegliendole, talvolta discutendole e naturalmente arricchendole di particolari innovativi, grazie all’abile utilizzo di svariate fonti». L’Amico utilizza per il commento una vasta conoscenza delle opere di Dante: il De Monarchia, il Convivio, le Rime, la Vita Nova. Fu il primo insomma a utilizzare Dante per commentare Dante.
Nell’odierno «fervore aguto» per gli studi danteschi merita infine di afferrare per la coda e segnalare, prima che il vecchio calendario finisca al macero, un libro uscito qualche mese fa da Einaudi: Dante per immagini dalle miniature trecentesche ai nostri giorni, di Lucia Battaglia Ricci (pp 302, € 60). Un’opera utile e godibile che anche in questo caso è stata possibile grazie all’intervento di una banca, l’Intesa San Paolo.