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 2019  febbraio 22 Venerdì calendario

E il deportato Primo Levi disse alla guardia: «Faccia il ladro, è più onesto»

Fossoli, vicino a Carpi, è il luogo dove Primo, Vanda e Luciana vengono portati da Aosta, la città in cui sono stati tenuti in cella. È il campo di prigionia numero 73, per i soldati britannici catturati in Africa.
Dopo l’8 settembre 1943 questi vengono trasferiti in Germania e si fa posto agli ebrei rastrellati nel Nord Italia. I tre amici vi restano da metà gennaio sino a metà febbraio sotto il controllo italiano. Poi, come scrive nella prima edizione di Se questo è un uomo, arriva un piccolo reparto delle Ss. Il libro pubblicato nel 1947, al ritorno da Monowitz, campo collegato ad Auschwitz, inizia così: «Alla metà del febbraio ’44, gli ebrei italiani nel campo di Fossoli erano circa seicento». Le prime memorabili pagine del libro di Levi raccontano il campo e la partenza dalla stazione di Carpi verso la Germania. I tedeschi fanno l’appello e li caricano sui carri bestiame. Sono 650. Ne torneranno solo quindici. Levi ha raccontato quel momento tante volte per iscritto, e anche a voce, così che ha spesso pensato che non ci fosse null’altro d’aggiungere, che la sua memoria l’avesse oramai fissato per sempre. A forza di ripeterla, la storia era diventata per lui un canone, come era solito dire ai suoi interlocutori, agli intervistatori – studenti, ricercatori, giornalisti – che l’interrogavano sulla sua esperienza concentrazionaria.
Fossoli era dunque l’ispezione dei tedeschi, la baracca 6A, i fili spinati pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare, e infine l’alba che li coglie «come un tradimento». Poi nel 1982 due giornalisti, Pier Mario Fasanotti e Massimo Dini, lo vanno a intervistare per un volume dedicato al mestiere di scrivere, mai pubblicato. A un certo punto Levi spiega che ha un ricordo preciso di quel giorno in cui salì sul treno per Auschwitz, anche se i suoi ricordi gli sembravano inquinati dal racconto che ne aveva fatto al ritorno, e che gli capitava di credere a quello che aveva scritto. I ricordi messi giù su carta, spiega, s’interpongono tra la memoria pura e i momenti in cui si parla delle vicende passate.
La memoria è un problema aperto per Levi, qualcosa di complesso e stratificato, con molte forme, come scrive in I sommersi e i salvati. In un suo racconto, Un” giallo” nel Lager (1986) arriverà a paragonarsi a Ireneo Funes, “el memorioso”, il personaggio di Borges, che si ricordava tutto. Ai due intervistatori dice che non gli era possibile andare oltre la memoria fissata nel suo libro e nei racconti: «Non credo che sia possibile, proprio per quanto il salire sul treno…». Fa una pausa, un momento di sospensione, e riprende: «Non è vero, proprio in questo momento, mi viene in mente un episodio che non ho scritto, e che potrei anche scrivere o comunque raccontare». Lo fa e viene registrato su un nastro. Rimasto per anni in un cassetto, è uscito in un numero della collana Riga dedicato a lui nel 2016. Primo è ancora nelle mani degli italiani, prima di essere ceduto ai tedeschi. Questi sono già arrivati, ma la sorveglianza è affidata ai poliziotti. Uno di questi, racconta a Fasanotti e Dini, è visibilmente terrificato da quanto stava accadendo: «Era un bell’uomo, di cui ricordo ancora la faccia, un emiliano, e il giorno dopo, quando siamo stati caricati sul treno, era di guardia e ho parlato con lui, gli ho detto: “Si ricordi di quello che sta vedendo. Si ricordi che lei è complice, si comporti di conseguenza"». L’uomo l’accompagna a una fontanella alla stazione di Carpi, per prendere un po’ d’acqua in previsione del viaggio. Levi capisce che è scosso e che può fare qualcosa per lui. Il poliziotto gli domanda: «Ma cosa posso fare?». E Levi: «Faccia il ladro, è molto più onesto». Subito dopo aver raccontato questo frammento di memoria riflette: «Ecco questo fatto mi viene in mente in questo momento, non è che non sia mai affiorato, ma non è vero che io abbia detto tutto».
Spiega che gli è capitato di correggere quello che aveva scritto nell’edizione del 1947 per quella del 1958, pubblicata da Einaudi. Il libro è la sua memoria volontaria; è la testimonianza. Ma c’è sempre in agguato un’altra memoria, quella involontaria, che compare nel sonno e in sogno, in modo inatteso, come in quel momento con i due giornalisti.
Una memoria dolorosa, perché rinnova il dolore, ma apre alla possibilità del racconto. Il poliziotto, la fontanella e lo scambio di battute è tutto quello che ci resta. Un piccolo, ma illuminate dettaglio della sua preziosa testimonianza da scrittore. Perché questo è Primo Levi: uno scrittore.