ItaliaOggi, 22 febbraio 2019
Lo Sceicco ama il made in Italy. Intervista a Andrea Raimondi
Dubai e i primati. Il Burj Khalifa è il grattacielo più alto del mondo (828 metri) con l’ascensore più veloce del mondo (64 chilometri l’ora), la Dubai Fountain (firmata da Alex Salamoun) è lunga 275 metri e i getti d’acqua raggiungono i 150 metri, l’aeroporto (in questo caso si debbono accontentare del terzo posto, dopo Atlanta e Pechino) ha avuto lo scorso anno 88,2 milioni di passeggeri, infine l’Expo 2020 coi previsti 25 milioni di visitatori sarà la più affollata di sempre.È un emirato cresciuto in modo vertiginoso e che vuole emanciparsi dal petrolio. Perciò lo Sceicco chiama (anche) l’Italia. Chissà se il nostro depresso Paese riuscirà a rispondere. Lo scorso anno l’import degli Emirati Arabi Uniti (EAU), di cui Dubai (3,1 milioni di abitanti) fa parte (in totale sono sette), è stato di 230 miliardi di euro, solo 5 miliardi provenienti dal nostro Paese. Troppo pochi, secondo lo Sceicco Saeed Bin Ahmed Al Maktoum, il componente della famiglia reale di Dubai che più si occupa di business, che ha perciò deciso di cercare di sviluppare i rapporti con l’Italia, Paese ad alta capacità produttiva ma poco presente in quella parte del mondo. Tanto che il 26 febbraio la famiglia reale al gran completo sarà a Roma per partecipare a un Forum sullo sviluppo delle relazioni bilaterali. Il giorno successivo sarà aperto il Private Office dello Sceicco in via dei Piatti, a Milano. Loro sono disposti a scommetterci ma vengono a vedere se ne vale la pena. Sarà bene che la politica e le associazioni imprenditoriali si diano da fare.
Un’idea dell’attivismo di Dubai in vista dell’Expo, con l’offerta all’Italia di partecipare al business? Si stanno costruendo 144 alberghi che si aggiungeranno agli 800 già in attività. «Quell’evento», dice Andrea Raimondi, «è vissuto nell’emirato come una tappa importante per l’internazionalizzazione dell’economia locale e per un suo ulteriore sviluppo al di fuori del petrolio».
Andrea Raimondi, modenese, partner di R&P Consulting, fondata nel 1979, sedi tra l’altro a Milano e Hong Kong, è stato scelto, dopo un pluriennale («e faticoso», dice) training, dallo Sceicco come proprio rappresentante in Italia, col compito di promuovere la presenza delle aziende italiane negli EAU ma anche di facilitare gli investimenti arabi nel nostro Paese. Spiega: «Gli arabi vorrebbero investire ma c’è il grosso problema, in Italia, della mancanza della certezza del diritto, non solo la giustizia che non funziona ma anche la politica che cambia orientamenti e regole di continuo. Questo disorienta i potenziali investitori. Ho registrato ultimamente interesse nei comparti del turismo e dei trasporti, vi era la disponibilità ad investimenti importanti, ma ancora una volta tutto si è bloccato di fronte alla farraginosità e alla mancanza di certezze delle nostre procedure».
Per quanto riguarda le imprese interessate ai mercati arabi, egli sottolinea come l’approccio culturale sia fondamentale: «Per approccio culturale», afferma, «intendo la conoscenza delle tradizioni, dei costumi, degli equilibri da rispettare nel Paese. Per esempio il rapporto inter-personale, cioè la fiducia è considerata un elemento fondamentale, tradirla significa venire irrimediabilmente espulsi dal mercato. Poi bisogna comprendere il loro approccio on time agli affari, pochi fronzoli, si tratta, ci si accorda e si parte, qui ogni minuto perso inutilmente è considerato disdicevole, la velocità è considerata uno degli elementi decisivi per costruire un business».
Domanda. Quali sono i settori più promettenti per le imprese italiane?
Risposta. C’è tanto desiderio di made in Italy, dal fashion al design, dai robot alla meccanica, dal turismo ai prodotti high-tech, è molto forte la richiesta del biomedicale e di tecnologie legate alla sanità, Dubai ha programmato di diventare entro il 2030 il principale hub sanitario del mondo.
D. Com’è lo stato di salute dell’economia locale ?
R. La crisi di liquidità di un decennio fa è stata superata, non va dimenticato che gli EAU rappresentano un approdo importante per la penetrazione in tutto il Medio Oriente e in una parte dell’Africa. Tranne che col Qatar, contro cui è stato deciso l’embargo, gli emirati hanno buoni rapporti con tutti gli Stati mediorientali. Un tempo l’economia si basava quasi esclusivamente sul petrolio. Oggi, invece, Dubai dipende dai profitti del petrolio solo per il 4% circa del suo pil. Si stanno realizzando enormi investimenti in infrastrutture: strade, aeroporti, zone residenziali, hotel, attrazioni. Si stima che la spesa raggiungerà quasi i 21 miliardi di dollari nei prossimi anni.
D. Quali consigli dare a un impresa italiana?
R. Non basta investire e aprire una rappresentanza in loco. Bisogna capire le giuste modalità di approccio al mercato, trovare bravi partner locali, tenere conto che le decisioni sono rapidissime e che le clausole sono importanti e difficilmente potranno essere modificate. Negli EAU bisogna andare solo se si è intenzionati a rimanervi e a sviluppare la propria presenza, cercare un affare spot può risultare non conveniente.
D. Lo Sceicco chiama l’Italia, ma quali agevolazioni propone?
R. Per attrarre capitali stranieri ma anche cervelli vi sono visti di residenza della durata di 10 anni per professionisti stranieri altamente qualificati e la possibilità per le aziende straniere di controllare il 100% della proprietà, cioè non c’è bisogno (anche se io lo consiglio) di un partner locale. In questo modo le rimesse, secondo un’agenzia di stampa, sono ammontate a 45 miliardi di dollari in 12 mesi. L’economia degli EAU è la settima più competitiva al mondo. Insomma, l’Italia deve mantenere le proprie radici economiche in Europa ma guardare oltre, a quelle parti del mondo, come Dubai, dove il business corre veloce e il made in Italy ha fortunatamente un appeal straordinario.
D. Che cosa frena il made in Italy?
R. Sarebbe il caso di incominciare, lo dico alla politica e alle associazioni imprenditoriali, a fare sistema. Prendiamo esempio dagli operatori di Francia, Germania e Inghilterra che arrivano a Dubai in forze, organizzati, col supporto del loro Paese e della finanza, pronti a fare fronte comune per realizzare grossi affari. Le aziende italiane avrebbero una marcia in più e se non avessero il freno di non potere contare su nessun supporto politico e finanziario farebbero vedere i sorci verdi alla concorrenza. All’Expo riusciremo a fare bella figura?