21 febbraio 2019
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Biografia di Niki Lauda
Niki Lauda (Andreas Nikolaus L.), nato a Vienna il 22 febbraio 1949 (70 anni). Dirigente sportivo. Presidente non esecutivo della Mercedes Amg F1 (dal 2012). Imprenditore. Ex pilota automobilistico di Formula 1 (March, Brm, Ferrari, Brabham, McLaren). Vincitore di tre mondiali automobilistici: due con la Ferrari (1975 e 1977) e uno con la McLaren (1984). «Magari fossi un pilota oggi. Avrei ancora il mio orecchio e guadagnerei molti più soldi» • «Niki era […] un figlio dell’alta società austriaca, rampollo di una famiglia molto ricca e potente. Per lui era già ritagliato un ruolo di altissimo profilo sociale e finanziario, dopo l’inevitabile tirocinio nelle aziende e nelle banche di casa. Ma il giovane Lauda sentiva strettissimi quei panni di figlio di papà. Amava più di tutto l’automobilismo. Cercò di non sciupare il buono della sua educazione e della cultura familiare, adattando questa mentalità al suo scopo: conoscere i segreti dei motori, accumulare esperienza agonistica e trovare i capitali necessari per correre ad alto livello. Prestiti e finanziamenti e debiti, pur di approdare in Formula 1. […] “La mia famiglia è molto importante in Austria: ci sono banchieri, capitani d’industria. I miei non apprezzavano il fatto che corressi in auto e che fossi ritenuto un pilota molto promettente. Mio padre mi disse: basta, devi andare all’università. Non gli detti ascolto. Mi trasferii da Vienna a Salisburgo. E continuai a occuparmi di macchine e motori. Ma mi è rimasto addosso il senso buono dei princìpi che mi hanno trasmesso i miei genitori. L’impegno. La tenacia. La serietà. La fiducia in se stessi. Ero convinto che prima o poi sarei diventato campione del mondo: l’ho dimostrato anche senza ricorrere ai soldi di mio padre. La forza della volontà è il motore del successo”» (Leonardo Coen). «Quando era ancora un ragazzo che sognava di sfondare nell’automobilismo, litigò furiosamente con il nonno banchiere, che, non contemplando l’idea che un Lauda potesse fare il pilota, tentò di sbarrargli ogni porta. I due non si parlarono mai più» (Paolo Ianieri). «Aveva firmato le cambiali per pagarsi le corse agli inizi, contraendo un grosso debito con una banca per poter accedere in F1 con la March e continuare a farlo con la Brm. A un certo punto, gli introiti – ovvero i premi d’arrivo – non erano più stati sufficienti per pagare le rate perché i risultati erano sotto le sue aspettative e, in un momento di follia, Niki aveva persino pensato di farla finita. Era stato Montecarlo a salvarlo. Non la roulette, ma il Gran premio del 1973. Nel quale lottò come un matto con una Brm poco stabile, tanto da ritrovarsi al terzo posto alle spalle di Jackie Stewart ed Emerson Fittipaldi. Fu in quel momento che i tifosi della F1 scoprirono le sue qualità. Lauda però non concluse la gara: il fragile motore della Brm lo tradì. “Quando rientrai ai box – racconta Niki –, Louis Stanley, titolare della Brm, mi chiese una opzione per correre per lui nel ’74, offrendomi ovviamente dei soldi, e dissi sì, perché in quel modo potevo cancellare i miei debiti col team e diventare un pilota pagato. Non sapevo però che Enzo Ferrari mi aveva visto in tv e aveva incaricato qualcuno di contattarmi nei giorni seguenti”. Quel “qualcuno” era Luca di Montezemolo, fresco d.s. di Maranello a soli 25 anni. “Ferrari – racconta Montezemolo – mi disse di seguire Jarier, Hunt e Lauda, ma ben presto fu scelto Niki, per le positive informazioni che gli aveva dato Regazzoni. Era l’estate del 1973. Incontrai Lauda all’aeroporto di Londra: 3 ore di discussione in cui lui chiese un ingaggio in scellini, e dovemmo comprare all’edicola il Financial Times per vedere il cambio con la lira…”. L’ingaggio era di 32 milioni di lire, niente male per quell’epoca. Per svincolarsi dalla Brm, Lauda ebbe il supporto degli avvocati della Marlboro, e la cosa si aggiustò in armonia. Il primo test di Lauda con la Ferrari avvenne nell’autunno del 1973, con la macchina, lenta, che era stata condotta sino a quel momento da Jacky Ickx e Arturo Merzario. “Dopo un po’ di giri a Fiorano – racconta Lauda – venni ammesso all’ufficio di Ferrari, il quale mi chiese subito che cosa pensassi della vettura”» (Pino Allievi). «“Questa macchina è una merda”, buttò lì in faccia a un incredulo Piero Ferrari, incaricato da papà di tradurre le prime impressioni di guida. Quando ritrovò la parola, Piero sussurrò: “Questo non posso tradurglielo: una Ferrari non è mai una macchina di merda”. “E allora digli che ha un sottosterzo infernale”, concluse Lauda, prima di convincere Ferrari a richiamare l’ingegnere Mauro Forghieri e ad apportare quelle modifiche che avrebbero reso la macchina mezzo secondo più veloce» (Ianieri). «Nel 1974 Lauda vinse in Spagna e Olanda, però alla fine fu Regazzoni a giocarsi il titolo mondiale all’ultima gara corsa a Watkins Glen, nella quale la Ferrari fu deludente per motivi mai chiariti, e il mondiale finì sulle spalle di Fittipaldi. Clay non la prese affatto bene, e accusò Montezemolo di aver favorito in tutti i modi Lauda, dimenticandosi di lui. Niki, in un libro autobiografico pubblicato nel 1985, La mia storia, scrisse che “sicuramente l’asse Lauda-Montezemolo tendeva a mettere un pochino in disparte Regazzoni: questo, devo confessarlo onestamente”. Il 1975, invece, fu tutto all’insegna di Niki, con una macchina che lui stesso definì come “la più grande opera di Mauro Forghieri”: la 312 T con cambio trasversale. Un taglio col passato, l’inizio di una nuova èra. Lauda ottenne 9 pole position e 5 vittorie in 11 gare, dominando ovunque. E la Ferrari tornò a conquistare il titolo che aspettava dal lontano 1964, l’anno di John Surtees. […] Il ricordo di quella giornata è un caldo infernale, il caos, il disordine che c’era a Monza in una Formula 1 che non era organizzata come oggi, per cui tutti andavano dappertutto, travolgendo, se il caso, reti e muretti. Come avvenne, appunto, nel momento in cui Clay Regazzoni tagliò vittorioso il traguardo e Lauda, piazzandosi terzo con 23” di distacco, conquistò il campionato del mondo. La festa cominciò quando le macchine erano ancora in pista. Una marea incontrollabile si portò sotto il podio a osannare la Ferrari. C’erano i tanti svizzeri ticinesi che impazzivano per Clay, c’era la grande folla che acclamava Niki. Un Niki incredulo: “Non avevo mai vissuto una cosa del genere, non riuscivo neppure a immaginarmela. Sotto il podio c’era il mondo, i tifosi riempivano i prati, la pista, tutto. Mai più provata una cosa del genere. Per giunta, avevo conquistato il titolo. Una giornata indimenticabile”. […] Il digiuno era stato colmato, la squadra funzionava benissimo, la monoposto andava forte su qualunque pista, Lauda e Regazzoni erano – nonostante tutto – una coppia eccezionale. “Lauda ha una sensibilità di guida davvero unica. È un uomo che sa sempre quello che vuole e sa in ogni istante della gara dove può arrivare”, disse Enzo Ferrari, felice di aver nuovamente creato dal nulla un campione. Lauda sul tema non fu d’accordo, ma stette al gioco» (Allievi). «Le vicende della stagione 1976 sono state raccontate innumerevoli volte, perfino al cinema. […] James Hunt, pilota della McLaren col quale l’austriaco aveva condiviso gli esordi in Formula 3, […] fu l’unico in grado di contenere il campione del mondo in carica; non l’altro ferrarista Regazzoni, e nemmeno il sudafricano della Tyrrell Jody Scheckter. […] L’austriaco pareva già avere il mondiale quasi in tasca. Però il 1° agosto 1976 si corse in Germania al Nürburgring Nordschleife, l’inferno verde. Che si trasformò in un vero inferno di fuoco per Niki Lauda. Hunt conquistò la pole position davanti al ferrarista. Poco prima della partenza aveva piovuto. […] Al secondo giro, alla Bergwerk, una curva a sinistra abbastanza secca, che però si prendeva a circa 200 km/h, la Ferrari di Lauda toccò il cordolo e s’intraversò bruscamente in uscita. Ancora oggi le cause di quell’incidente sono poco chiare. La macchina si schiantò contro il guardrail e prese fuoco; dopo l’impatto rimbalzò di nuovo in pista, fu evitata dalla Hesketh di Guy Edwards ma urtata dall’altra Hesketh di Harald Ertl e dalla Surtees di Brett Lunger. Dopo queste altre due collisioni, il casco di Lauda saltò via, esponendo la testa alle fiamme. I tre piloti qui citati scesero e andarono a soccorrere il ferrarista, intrappolato nelle fiamme e privo di conoscenza. Sopraggiunse subito dopo anche Arturo Merzario, in quella gara al volante di una Wolf-Williams. Il milanese si fermò e si aggiunse ai soccorritori; fu lui a gettarsi letteralmente nel fuoco (appena attenuato dal getto dell’estintore del primo dei commissari arrivati, ma ancora molto forte) per estrarre Lauda dall’abitacolo. Diversi secondi furono impiegati per slacciare le cinture di sicurezza, anch’esse inceppate. Senza l’intervento di questi piloti, Niki Lauda sarebbe certamente morto tra le fiamme. Il ferrarista fu trasportato in ospedale in elicottero. Dopo la ripartenza, la corsa venne vinta da Hunt. Lauda appariva in condizioni quasi disperate. Le pesanti ustioni in molte parti del corpo, soprattutto alla testa, non erano il problema peggiore. Ciò che lasciò il pilota per diversi giorni in pericolo di vita fu lo stato dei suoi polmoni, sia per l’aver respirato i fumi tossici dell’incendio che per aver inalato direttamente i residui di materiali polverizzati dalle fiamme. Furono necessarie diverse sessioni (molto dolorose) di aspirazione tramite una sonda, una tecnica che all’epoca si trovava ancora in fase sperimentale. I danni furono comunque permanenti. […] Ma l’austriaco aveva una volontà di ferro, e riuscì a superare la fase critica. Ne uscì col volto irrimediabilmente sfigurato, ma vivo e in grado di riprendersi. Il recupero avvenne in tempi strabilianti: Lauda saltò solo due gran premi. Tornò in pista, ancora dolorante, a Monza, il 12 settembre, solo 43 giorni dopo l’incidente» (Roberto Speranza). «“Ho lottato contro la morte. Ho sopportato sofferenze indicibili. Desideravo solo tornare in pista. Ricominciare quello che pareva non sarei più stato capace di fare”. Durante la sua assenza, Hunt vinse e macinò punti. Fu anche la rabbia ad accelerare la convalescenza? “Volevo tornare a vincere”. Ci prova a Monza. Si presenta con le bende in testa, il volto sfigurato. Un giornalista gli chiede se la moglie è d’accordo, dopo aver visto quelle piaghe, sul suo frettoloso rientro agonistico. “Per guidare una monoposto, non serve la faccia: serve il piede destro. Quello dell’acceleratore…”. […] Le bende sanguinanti. La sofferenza nel calzare il casco. L’appannamento della vista non ancora guarita. Guidare è una tortura. Ma, anche in quelle condizioni disperate. Lauda manda in ansia Hunt. Il pilota britannico ha un gesto di fair play: va a salutare il rivale ferito. Gli confida di sentirsi responsabile di quel che è accaduto in Germania, al Nurburgring. Nella tempestosa riunione dei piloti che aveva preceduto la gara, Lauda aveva chiesto di annullare la corsa perché riteneva il circuito molto pericoloso. In prova, infatti, un pilota si era sfracellato e aveva perso le gambe. Hunt lo aveva accusato d’aver paura, e la maggior parte dei piloti si era schierata con Hunt. “Dissi a James che doveva sentirsi responsabile semmai del mio ritorno, perché, mentre lottavo contro la morte, lo vedevo vincere approfittando della mia assenza”. A Monza Niki Lauda riesce nell’impresa di piazzarsi quarto: un risultato eccezionale, viste le sue condizioni. È stremato. Le piaghe hanno ripreso a sanguinare. La folla lo acclama. È tornato Lauda, il campione della Ferrari» (Coen). «Si arrivò così all’epilogo in Giappone, il 24 ottobre al Fuji. Lauda aveva ancora un vantaggio di tre punti; un pareggio avrebbe premiato Hunt perché aveva una vittoria in più, 6 contro 5. All’epoca il vincitore prendeva 9 punti. Ma quella domenica si scatenò una violenta pioggia, che allagò letteralmente la pista. […] Dopo un lungo tira e molla sull’opportunità o meno di annullare la gara, fu deciso di partire comunque, dimezzandone la durata. James Hunt, partito secondo, soffiò subito la prima posizione al poleman Mario Andretti e s’involò solitario. Le condizioni della pista erano ancora infami. Lauda, già decimo, al secondo giro decise di rientrare ai box e ritirarsi. Non riteneva la situazione del tracciato accettabile per proseguire la corsa. La beffa fu che più tardi la pioggia cessò e la pista cominciò ad asciugarsi. La direzione gara decise di ripristinare il numero di giri originale. James Hunt perse il comando a causa di problemi con le gomme, gli conveniva rallentare: sarebbe diventato campione anche con un quarto posto. Finì terzo, e conquistò per un solo punto il suo unico titolo mondiale» (Speranza). «Il momento cruciale della stagione successiva, il 1977, che lo vede pienamente recuperato, è certamente il Gran premio del Sudafrica. […] È la prima vittoria dopo l’incidente. […] Il 1977 è quindi un anno trionfale per l’austriaco, che vince il suo secondo mondiale. Dopo il Sudafrica, c’è la vittoria in Germania e in Olanda: tanti i piazzamenti, che permettono l’aggiudicazione del titolo con congruo anticipo. Il rapporto con la Ferrari però si interrompe bruscamente: Lauda è già d’accordo con la Brabham, per la stagione successiva. È lui a scaricare la Ferrari, cosa mai accaduta prima: viene licenziato e sostituito con Gilles Villeneuve. La Brabham-Alfa Romeo è un’auto dalle soluzioni tecniche innovative: una delle scommesse di Niki. La stagione 1978 si conclude con numerosi podi e due vittorie (Svezia e Italia). […] La stagione 1979 è invece fallimentare; è il momento del primo ritiro per Lauda, dopo il quale si dedicherà alla sua nuova impresa: una compagnia aerea, la Lauda Air, poi venduta all’Austrian Airlines Group. Lauda torna comunque alle corse nel 1982, distinguendosi sin da subito come guida del sindacato piloti. Il rientro agonistico avviene con la McLaren MP4/1B, prima F1 con il telaio in fibra di carbonio. È subito un quarto posto. “Aspettate quattro gare per giudicarmi”, aveva detto, ma la vittoria arriva già alla terza: è il Gp degli Stati Uniti-Ovest, dove supera De Cesaris, al quindicesimo giro, per non lasciare più la testa della gara. L’anno seguente, il 1984, è quello del terzo titolo mondiale ottenuto su Prost, più giovane dell’austriaco di sei anni. […] Il mondiale 1984 vinto su Prost per solo mezzo punto rappresenta forse il capolavoro più grande della carriera agonistica di Lauda. Nel 1985, ultimo anno di Niki in F1, c’è spazio ancora per una vittoria in quel di Zandvoort, Olanda, dove Lauda ha la meglio sui due giovani leoni Prost e Senna: la vettura è una McLaren MP4/2, sovralimentata, un mostro da 800 cv in assetto da qualifica tutti da domare senza grandi aiuti elettronici. È il canto del cigno del pilota simbolo dei Settanta. Negli anni successivi Lauda alterna l’impegno da manager sportivo in Ferrari e Jaguar alla sua attività nel settore aereo (fonda la Niki, la sua nuova compagnia), senza dimenticare un ruolo da commentatore tv che lo diverte molto. Dà il meglio di sé nelle interviste, provocando più volte la Ferrari (“ha fatto una macchina di merda”, luglio 2014; “fa solo spaghetti”, luglio 2015) e trovando il tempo, da presidente non esecutivo Mercedes, di dare il colpo di grazia alla carriera sportiva di Schumacher preferendogli il giovane Lewis Hamilton. La colpa di Schumi? Quella di aver manifestato “incertezze sul suo futuro”» (Nicola Ventura) • Il complesso rapporto agonistico tra Lauda e Hunt (morto d’infarto nel 1993, a 45 anni) ha ispirato il film Rush di Ron Howard (2013), grandemente apprezzato dallo stesso Lauda. «“Hunt e io ci siamo conosciuti a una gara di Formula 3, in Inghilterra, nel 1970. Lo trovavo simpatico, estroverso. Ma in pista eravamo rivali, senza sconti. Nel corso degli anni abbiamo imparato a rispettarci, ma non siamo mai diventati veri amici”. Ron Howard ha rispettato la storia di questa rivalità? “Sicuro. Nei limiti della trasposizione cinematografica, è stato corretto e ha ben sviluppato la trama. Che rispecchia la verità. Hunt pensava alle donne, alle feste, a godersela. Io a mezzanotte andavo a dormire, perché sapevo che il mattino dopo c’erano le prove e volevo essere efficiente”» (Coen) • Salute travagliata. Due trapianti di rene: il primo, nel 1997, grazie al rene donatogli dal fratello Florian, che però dopo qualche anno smise di funzionare correttamente, e dovette quindi essere sostituito nel 2005 da quello donatogli da Birgit Wetzinger (classe 1979), ex hostess della sua compagnia aerea con cui era all’epoca fidanzato, e che nel 2008 prese in moglie. Un trapianto di polmone nell’agosto 2018, per i postumi dell’incidente del 1976. Un ultimo ricovero d’urgenza nel gennaio 2019 per una grave forma influenzale, da cui si sta lentamente ristabilendo • Cinque figli: due, Lucas (1979) e Mathias (1981) dalla prima moglie, l’ex modella Marlene Knaus; uno, Christian (1982), da una relazione extraconiugale; gli ultimi due, i gemelli Max e Mia (2009), dalla seconda moglie, Birgit Wetzinger • «Lauda, cosa ricorda dello schianto? "Niente. […] Dimenticato tutto dopo 42 giorni, quando sono tornato a correre. Cancellata ogni cosa dalla mia mente. Come se non fosse mai successo. […] Più l’incidente è terribile, più un pilota deve sforzarsi di eliminare ogni immagine, ogni sensazione. Se ricordi, entri in macchina e tremi, e non puoi permettertelo. In quel caso è meglio smettere, ritirarsi"» (Stefano Zaino). «“Dai miei tempi è cambiata soprattutto la sicurezza. Noi ogni anno vedevamo un nostro collega morto sull’asfalto. Decidere quando frenare era una questione esistenziale. Lo sport vissuto in questa maniera ti forma il carattere in un altro modo. Oggi per fortuna non è più così: dal ’94, con la morte di Ratzenberger e Senna, si è lavorato molto e bene per la sicurezza. I piloti adesso arrivano al circuito con la moglie, i figli e il cane. Una volta sarebbe stato impensabile”. Il Nürburgring nel ’76 è stato il peggior momento della sua vita? “No. Il momento più tragico è stato nel maggio del ’91, quando un aereo della mia compagnia è esploso in volo per un guasto tecnico dovuto alla progettazione: 233 morti. Il Nürburgring ha coinvolto solo me. E Arturo Merzario, che mi ha salvato la vita”. Fuji ’76: […] si ritirerebbe lo stesso per paura della pioggia? “Certo. Non ho nessun rimpianto: in quel momento era l’unica decisione possibile. Il ricordo del rogo in Germania era ancora troppo vivo”. I rapporti con Enzo Ferrari? “Mi ha permesso di realizzare il sogno di guidare una Ferrari e ora di lui mi restano le cose buone. Ma nel ’77, quando me ne andai da campione del mondo, mi sentivo molto leggero”. Ha nostalgia? “No: il passato mi è indifferente. Guardare le vecchie foto non mi regala emozioni”» (Stefano Mancini) • «Schietto sempre, fino al limite della crudezza – qualche anno fa chiese la chiusura del Ballando con le stelle austriaco, contrario all’esibizione di “balli tra finocchi” –, Lauda si è anche divertito nel prendere in giro se stesso. Quando nel 2001 e 2002 diresse la Jaguar, non lesinò dichiarazioni feroci al team: “Macchina di merda, piloti di merda, presidente di merda”. Con il piccolo particolare che il presidente era lui. E dalle forche caudine della sua lingua non passò indenne neppure il figlio pilota Mathias, per il quale espresse dubbi sulla reale competitività. […] “Mi piace andare dritto al punto”, dice» (Ianieri) • «Si dice sia un uomo di un’avarizia leggendaria» (Marco Mensurati). «Al tempo giravamo spesso sul circuito di Fiorano, poi alla sera andavamo a mangiare all’hotel Canal Grande: al momento di pagare non si trovava mai…» (Luca Cordero di Montezemolo) • «La cosa più importante per capire come va una macchina è il culo». «Non mi frega della bellezza dello sport, della gara avvincente, di avere la migliore squadra. Io voglio vincere. Solo quello m’interessa» (a Emanuela Audisio). «Guidare deve tornare a essere difficile, complicato. Una cosa dura, sporca. Non come adesso. Oggi tutti sono piloti, tutti possono: è semplice. Io invece voglio vedere carattere, personalità, qualità. Quando perdi la presa sul terreno, il bravo pilota ne approfitta e si porta avanti, quello scadente retrocede. Voglio che la F1 sia per pochi, per gli eletti: deve mettere paura. Voglio macchine aggressive per cavalieri forti. Dinosauri moderni dove ti allacci la cintura e preghi».