il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2019
Un database per i rapimenti in Messico
Si chiama Karla Quintana, ha 40 anni, è dottore di ricerca in diritto, un master a Harvard e un altro in studi di genere all’Università di Barcellona. Su proposta di 35 associazioni, 146 esperti e 14 organizzazioni della società messicana è stata appena nominata a capo della Commissione nazionale di ricerca dei desaparecidos creata dal presidente del Messico Andrés López Obrador subito dopo l’insediamento. Sarà lei a dover ritrovare – dopo anni di omertà – i corpi con o senza vita degli scomparsi per traffico di droga, evitando così alle famiglie il triste compito di cercare a mani nude i propri cari.
Appena arrivata, la Commissaria si è già trovata di fronte a 49 fosse comuni contenenti 69 corpi sepolti sotto le palme e il sole di un piccolissimo villaggio della regione di Colima, Jalisco, la meno popolata del paese. “Una macelleria”, ha sintetizzato un contadino del posto. Immagine che rende bene l’idea della situazione che da anni patisce il Messico: più di 40 mila dispersi e 26 mila cadaveri ancora non identificati nelle cosiddette “narcofosse”, quelle scavate dai narcotrafficanti per le proprie vittime. Oltre alle 156 vite risucchiate nel 2018 dalla metro della capitale, Città del Messico, su cui si è fatta appena luce. Così Colima, o meglio la zona di Tecomán, nello Stato di Jalisco dove l’equipe di Karla ha rinvenuto le fosse, si è trasformata nelle ultime ore in un caso simbolo. Scoperta casualmente indagando sul rapimento di una donna e di sua figlia di appena quattro mesi, quella che doveva essere l’ultimo luogo dove era passata la madre, la casa di campagna si è rivelata in realtà un cimitero: 11 fosse comuni e 19 corpi.
Due gli indizi: terra smossa e odore di morte. Da lì, dopo altre perlustrazioni, la polizia ha trova altre 39 fosse e 50 cadaveri. “Alcune buche contenevano soltanto un corpo, altre più cadaveri impilati l’uno sull’altro”, scrive il cronista del quotidiano El Pais. “Cadaveri apparentemente freschi, anche se la temperatura di 30 gradi deve averne accelerato la decomposizione, e altri, sotterrati da almeno cinque anni, ormai ridotti a sole ossa. Intorno, il silenzio. O peggio, l’omertà. “Ognuno di noi conosce qualcuno che ha ucciso o rapito qualcun altro”, confessa un giovane del posto ai giornali locali. La verità è che Tecomán è stata rasa al suolo dalla violenza. Enclave strategica e di passaggio di droga e armi, contesa tra i cartelli della droga di Sinaloa, Jalisco Nueva Generación e Nueva Familia Michoacán, la zona – che in tutto fa 130 mila abitanti – ha visto solo l’anno scorso succedersi 191 omicidi, tra purghe interne ai gruppi e violenza generalizzata, che come nel resto del paese inizia a lasciare dietro di sé un numero spaventoso di cadaveri e dispersi. Da Tecomán è partita anche la campagna della Commissione per la raccolta e la comparazione dei Dna degli scomparsi, che verranno registrati nel nuovo database nazionale che servirà per i riconoscimenti. Con il paese diviso in due limbi: quello di chi spera che in quelle fosse ci sia un familiare scomparso da anni e mai ritrovato e chi teme di scoprire che colui o colei che pensa scomparso sia in realtà in fondo a qualche buca improvvisata nei campi di Jalisco.
Ma c’è anche chi dall’Inferno degli spariti è ritornato sulle proprie gambe. Si tratta dei cosiddetti schiavi a cui i cartelli hanno offerto un lavoro con l’inganno per poi trattenerli con la forza. Un esercito entrato a far parte come sicari di quello organizzato del crimine messicano della droga. Uno di loro ha raccontato a El Pais di essere stato attirato con un annuncio di lavoro sui social network: l’offerta parlava di 4 mila pesos a settimana come guardia di sicurezza. Peccato che il giorno della prova insieme ad altri 15 giovani che avevano abboccato su Whatsapp venne portato su una montagna per essere istruito a lavorare con il cartello, in questo caso Jalisco Nueva generacion. Luis (nome di fantasia) ha visto morire almeno altri 17 ragazzi come lui nel tentativo di scappare dagli accampamenti dei narcotrafficanti e con la sua testimonianza ne ha fatti tornare a casa tre, oltreché aver dato notizia del modo in cui il cartello rapisce e annette forzatamente manodopera da macello.
Nel 2017 nella stessa zona, le montagne di Jalisco, le denunce di scomparsa di giovani da parte delle madri furono più di una decina. Il comun denominatore è la disoccupazione. Tutti gli scomparsi, non a caso, avevano ricevuto un’offerta di lavoro come guardia di sicurezza per 4 mila pesos a settimana. Ma la storia dei desaparecidos dei cartelli risale almeno al 2012 e le famiglie in cerca dei propri ragazzi sono già una sessantina. Giovani di cui si disconosce il destino come i loro 43 coetanei studenti di Ayotzinapa, nello Stato di Guerrero, di cui da 4 anni e mezzo non si hanno notizie.