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 2019  febbraio 21 Giovedì calendario

Leonardo genio anche in cucina

«Dio fece il cibo, ma certo il diavolo fece i cuochi», scrisse James Joyce nel suo Ulisse, dimenticando però di aggiungere che fu poi Leonardo a fare i coperchi delle pentole. Sì, perché il genio del Rinascimento si dedicò alle arti nobili e alla scienza, ma più prosaicamente anche alla cucina. A 500 anni dalla sua morte il 2 maggio 1519 ricordiamolo allora sotto ogni aspetto della poliedrica attività. Coperchio delle pentole comprese. «Ogni volta che si mette una pentola sul fuoco scrisse – è necessario coprirla con teli umidi di lino, cambiati spesso per evitare che il fumo sia assorbito e alteri il sapore del contenuto Ora io mi chiedo, non si potrebbe inventare un oggetto permanente, indistruttibile? Farò un progetto».
I CALCOLI
Idea assai banale, per quanto utile, rispetto ad altre di cui ci ha lasciato i disegni: lo schiaccianoci e lo spremiagrumi molto simili ai nostri di oggi, il girarrosto automatico con una canna fumaria che grazie al movimento dell’aria fa ruotare l’elica per lo spiedo, un affetta pane a vento, le macchine per fare lasagne e spaghetti. In particolare, gli incredibili calcoli preparatori della «macchina per produrre spago mangiabile» sono nel Codice Atlantico custodito alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Francesco I di Valois, re di Francia, aveva chiesto a Leonardo di vendergli il progetto, ma il maestro gelosissimo dell’idea preferì piuttosto cedere la Monna Lisa (la Gioconda del Louvre) piuttosto che il segreto dello «spago mangiabile». Tra le altre invenzioni in cucina, ci sono l’utilissima aggiunta di un terzo rebbio nella forchetta (fino allora solo a due punte) e la «tovaglia individuale». Cioè il tovagliolo, di cui inizialmente non fu compreso l’uso: per soffiarsi il naso, secondo gli uomini; per non sporcare il vestito sul retro, secondo le donne, che coprivano così le sedie.

MISTERIOSO
Stando alla copia del misterioso Codex Romanoff dell’Hermitage di San Pietroburgo, in cucina Leonardo non si limitò alle invenzioni tecniche. Avendo da bambino osservato a lungo in cucina il vecchio pasticcere che aveva sposato la madre vedova, da grande si piccò di saper cucinare. I primi tentativi li fece da ragazzo – mentre era a bottega dal Verrocchio – quando per guadagnare qualche soldo lavorò come cameriere alla Taverna delle Tre Lumache vicino al Ponte Vecchio. Fu però licenziato per aver avvelenato dei clienti, aggiungendo segretamente ingredienti nocivi a piatti ritenuti insapori. Non domo, tentò nel 1478 il salto di status da cameriere a cuoco coinvolgendo nell’impresa (proprietario al 50%) un altro nome oggi a noi ben noto: Sandro Botticelli. Il menù della taverna «Le tre rane di Sandro e Leonardo», vergato a mano dal da Vinci, era incomprensibile per la sua scrittura da destra a sinistra e così Botticelli pensò bene di disegnare le pietanze per aiutare gli ospiti nella scelta.
La presunzione di Leonardo pari alle sue doti non aveva limiti anche tra i fornelli, tanto da elencare le sue capacità da pasticcere perfino presentandosi a Lodovico Sforza detto il Moro. «Io non ho rivali gli scrive – nel costruire ponti, fortificazioni e catapulte; e anche altri segreti arnesi che non ardisco descrivere su questa pagina. La mia pittura e la mia scultura reggono il confronto con quelle di qualunque altro artista. Eccello nel formulare indovinelli e nell’inventare nodi. E faccio delle torte che non hanno uguali». Non è dato sapere quanto fu determinante il riferimento alle torte nella decisione del Moro di assumerlo. Comunque per ringraziare il suo protettore una sera Leonardo chiamò a corte il fior fiore degli scultori di Milano per incidere sulle barbabietole (poi servite su foglie di lattuga) il volto di Lodovico Sforza. Il sospetto è che l’appariscente mise en place servisse a mitigare la scarsa riuscita dal punto di vista gustativo dei piatti cucinati, uno più stravagante dell’altro: torta d’api, gabbiano in pastella, testicolo di pecora con panna. Più semplici le ricette dell’Acquarosa (acqua, limone, zucchero ed estratto di rosa) o la zuppa di agrumi (spremuta mescolata con uovo e brodo).
Le competenze tra i fornelli furono utili nei momenti di creazione artistica, seppure creando ritardi su ritardi nei tempi di consegna delle opere commissionate. In fase di preparazione dell’Ultima cena Leonardo cucinò decine di pietanze prima di scegliere quelle da dipingere davanti al Cristo e ai 12 discepoli, tanto da cucinare più e più volte i tranci di anguilla in agrodolce (arrostita e poi marinata in succo d’arancia e melograno) prima di rappresentarli sulla parete di Santa Marie delle Grazie. L’anguilla secondo la storica dell’arte Mariella Carrossino fu scelta perché simbolicamente considerata «misto tra serpente e pesce, segno di vitalità e forza creativa, che preannuncia una grande trasformazione spirituale».

ANTESIGNANO
Leonardo – secondo Jean Paul Richter, il primo a decifrarne i taccuini nell’Ottocento – sarebbe stato anche una sorte di antesignano dei vegetariani tanto da venirgli attribuita la frase secondo cui «fin dalla tenera età ho rifiutato di mangiar carne e verrà il giorno in cui uomini come me guarderanno all’uccisione degli animali nello stesso modo in cui oggi si guarda all’uccisione degli uomini». Redasse infine un galateo delle buone maniere, spiegando in 25 dettagliati punti che non vanno messi i piedi sul tavolo oppure che se «l’ospite deve vomitare, che lasci la tavola, parimenti se deve orinare». Norme di buona creanza, non diverse da quelle suggerite dai nostri genitori. Niente niente, erano dei geni anche loro?