La Stampa, 20 febbraio 2019
L’AI sta sperimentando la creatività
Era un notte buia e tempestosa. Incipit tutti uguali, addio. Tempo una manciata d’anni e le macchine ce ne forniranno a tonnellate, originali e dal gradimento assicurato. E non si fermeranno lì.
«Molti autori sono ancora convinti che i software non siano creativi. Ma già scrivono musiche ed eseguono opere d’arte. È facile cadere nella tentazione di pensare che la creatività sia una caratteristica solo umana, legata ad aspetti ineffabili, che sfuggono agli schemi computazioni e puramente logici dei robot. Invece si stanno facendo passi da gigante in questa direzione», ci spiega Joseph Sassoon, autore del libro «Storytelling e Intelligenza Artificiale» (FrancoAngeli). Esempi - spiega lui, che insegna «Brand Storytelling» all’Università di Pavia, è partner di Alphabet Research ed è membro del comitato scientifico dell’Osservatorio Storytelling - ce ne sono tanti, tutti recentissimi.
Finanza e sport
«C’è il romanzo giapponese che è entrato in un concorso piazzandosi bene, ed era stato elaborato autonomamente. Senza dimenticare che sempre più spesso grandi media, da “Forbes” al “Wall Street Journal”, utilizzano programmi per scrivere articoli. Soprattutto narrazioni di finanza o di sport». La prima cronaca giornalistica scritta da una macchina risale al 2009 ed era il prodotto di un software creato da un gruppo di ricercatori che hanno poi fondato la start-up Narrative Science, che oggi promette una tecnologia «che interpreta i dati e li trasforma in narrative ricche di senso, in un linguaggio naturale e a una velocità senza precedenti».
Ma è soprattutto nel cinema che l’«Artificial Intelligence» creativa sembra avere ottime applicazioni. «È stata usata da Fox, che ha arruolato Watson, il super-computer di Ibm, per creare trailer cinematografici perfetti. Mentre la start-up belga Script-Book ha sviluppato uno strumento per analizzare le sceneggiature di un film e predirne il successo, con un tasso di attendibilità tre volte superiore agli analisti umani», racconta Sassoon. Insomma tanti segnali di una tendenza in atto.
«Un paio d’anni fa al Sci-Fi di Londra è stato presentato un film, “Sunspring”, progettato da una macchina. L’audience l’ha gradito solo in parte, perché la storia è sembrata strana, con sviluppi anche incredibili. Tipo quando, senza motivo, il protagonista vomita un occhio. Ma era due anni fa. Oggi ci sono community di autori che lavorano fianco a fianco con esperti di AI». Tipo Shelley (in onore all’autrice di Frankenstein), bot che genera storie horror. Un limite è che questi «scrittori» hanno poca esperienza dell’esistenza e sono senza morale. Però l’AI può digerire enormi quantità di dati e quindi si potrebbe arrivare, un giorno, a libri o film personalizzati per piacere a colpo sicuro a un utente specifico, di cui si conoscono i gusti. «Per riuscirci le macchine dovranno diventare ancora più sofisticate. Oggi sono in grado di inventare storie semplici e un po’ sgrammaticate. Ma tra 5-10 anni, probabilmente, i libri scritti dall’Intelligenza Artificiale diventeranno la norma. La fase che viviamo è quella di una collaborazione, da cui gli umani possono trarre vantaggio. Gli algoritmi, per esempio, possono fornire tutta una serie di idee al regista su come sviluppare una trama o quali nuovi snodi una serie tv potrebbe seguire. A oggi, però, in un’ipotetica gara di creatività vincono ancora gli umani».
Il politico astuto
La forza «disruptive» dell’AI potrebbe essere stata un po’ sopravvalutata: rivoluzione annunciatissima, ma pure il robot giudicato più elementare, l’auto senza guidatore, non esiste ancora. «La storia della tecnologia ha visto sempre dei momenti di pausa prima di ripartire in modo straordinario. Basta ricordare come dopo il boom di Internet degli anni 2000 ci fu il crollo delle start-up per sopravvalutazione del mercato. Durò 2-3 anni, poi Internet è ripartito, cambiando la vita di tutti noi. Lo stesso potrebbe accadere con i robot. A oggi l’intelligenza delle macchine, però, non è ancora neanche all’altezza di quella dai un bambino di 5 anni».
E chiunque abbia dialogato con un chatbot (un software progettato per simulare una conversazione con un umano) non ha dubbi. Anche se sono state introdotte funzioni più umane, per esempio se ci si rivolge a Siri (l’assistente digitale di Apple), chiamandola Alexia (il corrispondente di Amazon), si offende. Ma è un divertissement. «I chatbot commerciali non sono la forma più avanzata di AI e sono rivelatori di quanto queste tecnologie siano giovani - aggiunge Sassooon -. Ma ci potranno essere straordinari sviluppi. Anche preoccupanti. Un algoritmo potrà scrivere il discorso politico perfetto, in grado di raccogliere il massimo dei consensi. Dipenderà molto dalla capacità umana di trovare le giuste mediazioni e gli strumenti di controllo per non perdere la sedia sotto il sedere. Perché, è certo, la tecnologia non si fermerà».