il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2019
Casellati cazzia i senatori
Così non va. Al Senato c’è una confusione neanche fosse il tinello di una casa disordinata. Cappotti sui divanetti, accesso indiscriminato al piano nobile, addirittura la caffetteria ormai aperta a tutti. E così la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha imposto la stretta per frenare l’andazzo ed evitare il clima da bivacco: bisogna fare selezione specie al primo piano, il cuore pulsante dell’Istituzione dove ognuno è chiamato a dare il meglio di sé. In aula, naturalmente, dove la presidente che sogna di diventare la prima donna capo dello Stato tiene tutti a bacchetta. Ma pure fuori dall’emiciclo, perché il decoro va soprattutto ripristinato in quell’area che copre la buvette, il largo salone antistante e la Sala Maccari dove la requisitoria di Cicerone contro Catilina è monito per tutti i senatori a imperitura memoria della sorte riservata ai nemici della Patria.
E che fanno invece i senatori, allergici al rigore dell’Arpinate e pure a quello della Casellati? Gli sciagurati lasciano borse e paltò in ogni dove. E se dovesse arrivare un ospite di riguardo, che penserebbe? Si sarà chiesta la seconda carica dello Stato mentre sogna i saloni immacolati del Quirinale dove si entra solo con inviti selezionatissimi. Certo, all’appuntamento col destino manca ancora un po’, ma intanto la presidente pensa a fare spogliatoio richiamando tutti a un corale moto di orgoglio per lo status senatoriale.
E così qualche giorno fa è partita una gragnuola di lettere inviate dai tre questori di Palazzo Madama che hanno invitato tutti a cambiare musica. “Ci rivolgiamo alla Tua sensibilità per rammentare che il guardaroba al piano terra è a disposizione dei senatori per le loro esigenze di custodia degli abiti. Dobbiamo però constatare la diffusa abitudine di lasciare, nel corso della seduta, soprabiti e cappotti sui divani delle Sale prossime all’aula. Auspichiamo con forza che venga posto termine a tale comportamento che appare poco decoroso e comporta un particolare incomodo, dal momento che spesso quei divani risultano non utilizzabili”.
Insomma, per farla breve d’ora in poi tutto quello che verrà trovato fuori posto verrà rimosso e se i senatori vorranno recuperare soprabiti e cappelli dovranno fare lo sforzo di scendere un piano per chiedere se tante volte siano stati portati al guardaroba dai commessi.
Ma non è tutto. Perché non sembra confacente “al prestigio e al decoro, segni distintivi del Senato della Repubblica”, neppure la “frequente violazione” delle norme che vietano l’accesso agli estranei nei giorni di attività parlamentare. “Tutto ciò – si legge ancora – provoca non poco disagio per quanti, tra tutti i senatori a pieno titolo, frequentano il salone Garibaldi, la Caffetteria e la Sala Maccari e gli altri ambienti del primo piano”. Soprattutto, par di capire, preme la questione dell’accesso indiscriminato alla Caffetteria dove gli ospiti non devono entrare “salvo occasionali deroghe”: vigileranno i soliti commessi. Sì, perché il bar e gli altri ambienti sono aperti solo ai parlamentari o a quanti lo sono stati, ai membri del governo (solo a quelli in carica), agli alti funzionari del Senato, ai giornalisti accreditati e pochi altri: tra i privilegiati di caffè e cappuccino al piano nobile pure il direttore e i consiglieri del Gabinetto della Casellati, il suo capo ufficio stampa e il segretario particolare.
Per gli altri c’è il bar-mensa al piano terra sempre che abbiano il tesserino di riconoscimento. Che d’ora in poi dovrà essere ben visibile. Per farsi riconoscere, sempre.