il Giornale, 20 febbraio 2019
Londra pensa alla legge di 650 anni fa per giudicare le mogli dei jihadisti
L’ultimo condannato per tradimento nel Regno Unito è un nazista impiccato nel 1946 sulla base del Treason Act 1351. Ma a considerare un aggiornamento della norma che risale a 650 anni fa, cioè ai tempi di Edoardo III, spunta adesso il ministro degli Interni Sajid Javid, che alla Camera dei Comuni si è detto pronto a valutare attentamente una revisione della legge, che potrebbe essere riscritta. La ragione? Trovare una soluzione legale al rebus sulle mogli europee dell’Isis, le compagne dei combattenti dello Stato islamico in Siria, molte delle quali vedove, che puntano al rientro in patria ora che i jihadisti sono al capolinea. I soldati dell’Isis in mano alle forze democratiche curdo-siriane sono circa 1300, mille dei quali stranieri, e Donald Trump ha chiesto all’Europa di riprenderli, aprendo il dilemma sul trattamento giuridico dei terroristi e dei loro affiliati, da processare o inserire in programmi di riabilitazione. Una questione particolarmente sentita nel Regno Unito, sintetizzata nel caso della diciannovenne Shamima Begum, fuggita da Londra con altre tre amiche nel 2015, destinazione Siria, al fianco dei combattenti, e che ha appena dato alla luce un bimbo nel campo profughi di al-Hawl, nel nord del Paese, dopo la morte dei suoi due precedenti figli per malattie e stenti nei territori dello Stato islamico.
Pietà oppure pugno duro nei confronti di chi ha lasciato il Paese per stare al fianco dei terroristi? Riabilitazione o condanna ferma? Non è solo la Gran Bretagna a interrogarsi su questi temi. Ma a dare un’accelerata al dibattito nel Regno Unito sono state le interviste rilasciate da Shamima, che chiede di tornare per evitare la morte al suo piccolo (sostenuta dai familiari tramite avvocato). La giovane racconta di anni vissuti tra fame e continui spostamenti e quando viene interrogata sulle decapitazioni per mano dei jihadisti mostra di non provare alcun segno di disgusto o pentimento per la sua affiliazione: «Mi stavano bene», dice e ripete, quasi anestetizzata, delle teste tagliate brutalmente. Perciò il costituzionalista Richard Ekins invoca una nuova legge sul tradimento, per poter trattare i casi come quello di Shamima, che essendo cittadina britannica ha diritto di tornare nel proprio Paese. «Le leggi sul terrorismo non dicono nulla sulla questione della lealtà alla patria. La normativa attuale non è indirizzata alla malvagità della scelta di chi si mette dalla parte dei nemici del proprio Paese, non tratta la questione del pericolo posto a oltranza da chi ha fatto questa scelta». Sollecitato sul caso, il ministro dell’Interno ha detto la sua in Parlamento. «Si tratta di una situazione complessa, in cui dobbiamo vedere che strumenti abbiamo a nostra disposizione per assicurare che i colpevoli di terrorismo o chi sostiene i gruppi terroristici siano portati davanti alla giustizia. Molti vogliono tornare ma laddove rappresentano una minaccia, cercherò di evitarlo».
I parenti delle vittime fremono, orripilati all’idea che Shamima possa tornare indisturbata in patria dopo aver paragonato i morti per terrorismo al concerto di Manchester agli attacchi militari in Siria. In realtà la ragazza potrebbe essere immediatamente arrestata appena metterà piede sul suolo britannico, ha fatto sapere Scotland Yard, ma serviranno prove sufficienti per formulare un’accusa.
Il caso dei jihadisti catturati in Siria è problematico, tanto quanto quello delle mogli e dei bambini, circa 1800 provenienti da 40 Paesi, che si trovano adesso nei campi profughi in Siria. L’Europa non ha trovato una linea comune, anche perché manca ancora un indirizzo nazionale. Finora molti combattenti europei sono stati giudicati in Irak per associazione terroristica. Ma il caso della Siria è diverso, visto che la maggioranza delle nazioni del vecchio continente non riconosce il regime di Bashar al Assad. In Francia sono 130 i révenants, i terroristi di rientro. E tranne il caso della Danimarca, in cui il reintegro nella società è cominciato da tempo, il dilemma sui foreign fighters è l’ultima sfida sul fronte della lotta al terrorismo.