la Repubblica, 19 febbraio 2019
Qua la mano, robot
Robot, mi passi il sale? La minestra messa in tavola dall’Istituto di BioRobotica della Sant’Anna, a Pisa, non è ancora saporita come si vorrebbe. Ma i ricercatori ci si stanno avvicinando. Ricreare in un fascio di fili elettrici e sensori quella magia di intesa che è il passaggio di un oggetto da una mano all’altra è infatti la più recente fra le sfide, nel mondo della robotica. Solo quando avranno imparato, gli automi potranno lavorare e vivere in mezzo a noi, sostengono i ricercatori della Sant’Anna. I loro esperimenti, appena pubblicati sulla rivista Science Robotics, sono alla base di un nuovo settore chiamato “robotica collaborativa”. «Afferrare e manipolare gli oggetti sono compiti che gli automi cominciano a eseguire con perizia», spiega Marco Controzzi, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica, uno degli autori dello studio. «In una scala da 0 a 10 diciamo che siamo a 5. Ma per passarsi un oggetto serve un’intesa speciale, una coordinazione con l’altro che normalmente diamo per scontata». Controzzi ha fatto l’esperimento con i colleghi. «Ho provato a trattenere un oggetto per alcuni secondi, quando il ricevente lo aveva già afferrato.Ma che fai, hanno reagito tutti con stupore. A casa, in famiglia, con il sale, non mi sono nemmeno mai azzardato».Se l’evoluzione dell’uomo è stata innescata dalle mani prima ancora che dal cervello – come sostengono alcuni antropologi ora sembra essere arrivato il turno dei robot. «Non parliamo solo di quanto è intricato il sistema delle articolazioni, dei muscoli e dei tendini che consentono il movimento delle dita. Dietro alla manipolazione degli oggetti c’è un impegno cognitivo enorme. Afferrare un cacciavite è un compito di unacomplessità che di solito passa inosservata. Ce ne rendiamo conto noi in laboratorio, quando tentiamo di riprodurre il gesto» sorride Controzzi. Francesca Cini, sua collega e coautrice, prosegue nell’esempio: «Nel passare un cacciavite, dobbiamo tenere conto dell’uso che l’altro intende farne. Per questo glielo porgiamo dalla parte del manico. Tutte queste informazioni, per un robot non sono scontate. Ha bisogno di acquisirle». Un giorno, immagina Controzzi, «gli automi ci aiuteranno a montare un mobile Ikea. Terranno fermi i pezzi e capiranno quali viti porgerci senza bisogno di chiederlo». Al momento, però, è meglio organizzarsi da soli. «Se nell’uso delle mani gli automi ricevono un 5 di giudizio, la capacità di collaborare è ancora ai primi stadi. Non andiamo oltre il voto di 1, massimo 2». È d’accordo Peter Corke, direttore dell’Australian Centre for Robotic Vision che ha collaborato alla ricerca: «La manipolazione del mondo reale rimane una delle più grandi sfide per la robotica».Nell’esperimento eseguito a Pisa e pubblicato sulla rivista, la mano robotica si limitava a osservare e imparare. Con i suoi occhi-telecamera ad altissima definizione, capaci di estrarre il profilo di un oggetto, valutarne ilpeso, identificare il centro di massa, capire se ha una superficie liscia o ruvida e di sezionare un movimento sequenza dopo sequenza, la mano robotica pisana ha studiato varie coppie di uomini che si passavano gli oggetti più diversi.Nel cesto degli strumenti: una penna chiusa, una aperta (cambia l’uso immediato, quindi il verso in cui deve essere porta), una chiave, un cacciavite, la lettera W creata con una stampante a tre dimensioni, una mela di plastica, una palla, un disco leggero e uno pesante, un bicchiere pieno e uno vuoto, una bottiglia piena e una vuota, un pacchetto di cracker, un libro, una sbarretta di metallo e una scimmia pupazzo. «Abbiamo scelto degli oggetti rappresentativi, dai quali i robot fossero capaci di estrarre regole generali» spiega il ricercatore pisano. Gli scenari immaginabili sono i più vari: «Montare il mobile insieme è solo un esempio. Pensiamo a un disabile che voglia uno yogurt dal frigo e il cucchiaino che serve a mangiarlo. Il robot può prenderli per lui. Può aiutare nei compiti più ripetitivi che devono svolgere gli infermieri. Ma è solo un esempio. I possibili settori di collaborazione sono davvero tanti». Il primo, quello in cui la robotica muove da sempre i suoi passi iniziali, è quello della produzione aziendale. Anche qui di recente si sono superati alcuni steccati. «Fino a pochi anni fa gli automi potevano lavorare solo in ambienti separati da sbarre, per ragioni di sicurezza. Oggi le gabbie si sono aperte. Operai e robot in alcune fabbriche si muovono uno accanto all’altro. I secondi, quando i primi si avvicinano, hanno imparato a rallentare o bloccarsi per evitare di colpirli». Non è ancora l’esempio di cooperazione che ci si immagina pensando alla minestra da salare. Ma è l’evoluzione al lavoro, e si sta avvicinando a passi da robot.