Avvenire, 19 febbraio 2019
La calcolatrice di Leonardo? Una leggenda
Leonardo fu un genio a trecentosessanta gradi, e la sua fama è tale che può accadere di attribuirgli anche invenzioni che non ha mai compiuto. Nel 1965 furono scoperti nella Biblioteca nazionale di Spagna due importanti codici leonardeschi, che si ritenevano perduti e che erano stati cercati senza successo da molti studiosi. La scoperta fu compiuta per puro caso da Jules Piccus, uno specialista di letteratura spagnola antica, mentre stava cercando ballate medievali. I due codici, rilegati in un bel marocchino rosso, furono battezzati Codex Madrid I e II. Il mondo intero si accorse della scoperta due anni dopo, quando Piccus tenne all’Università del Massachusetts una conferenza pubblica per illustrare le riproduzioni su microfilm dei due codici che aveva portato con sé da Madrid e che furono esposte in quell’occasione.
Il primo codice, che comprende 192 fogli, è un trattato di statica, cinematica e fortificazioni militari, e nel foglio 36v contiene uno schizzo che colpì molto uno dei tanti visitatori della mostra, l’ingegnere italiano Roberto Guatelli (1904-1993), che per anni si era dedicato con passione alla costruzione di modelli delle macchine leonardesche. Dopo la fine della guerra Guatelli andò negli Stati Uniti e riprese la sua attività arricchendo la collezione del dipartimento di belle arti della Ibm, che era interessata a organizzare esposizioni e mostre itineranti di modelli di macchine antiche (per esempio la macchina volante di Leonardo, la calcolatrice di Pascal, la macchina alle differenze di Babbage, le tabulatrici di Hollerith, il primo fondatore della Ibm). Lo schizzo del foglio 36v ricordò a Guatelli qualcosa di simile contenuto nel Codice Atlantico, forse il documento vinciano più famoso, custodito nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, e certo gli ricordò i rotismi dell’addizionatrice di Pascal, dove ogni ruota rappresenta una posizione decimale e dove ogni giro completo di una ruota fa scattare di una posizione la ruota successiva, trasferendo il riporto da una posizione decimale alla successiva. Guatelli fu suggestionato dal disegno di Leonardo e lo interpretò come lo schema di una calcolatrice che precedeva di circa un secolo e mezzo quella di Pascal (1642). Ne costruì un modello che la Ibm aggiunse alla propria collezione con la seguente etichetta, che traggo da un articolo di Silvio Hénin (“Mondo Digitale”, ottobre 2018): «Dispositivo di calcolo: una versione anticipatrice dei complicati calcolatori odierni, il meccanismo di Leonardo mantiene un rapporto costante di dieci a uno in ciascuna delle sue 13 rotelle di registrazione delle cifre. Per ogni giro completo della prima manovella, la ruota delle unità viene ruotata leggermente per registrare una nuova cifra che va da zero a nove. Coerentemente con il rapporto dieci a uno, il decimo giro della prima manovella fa sì che la ruota dell’unità completi il suo primo giro e registri zero, ma a sua volta spinge la ruota delle decine da zero a uno. Ogni ruota aggiuntiva, che segna le centinaia, le migliaia, ecc., funziona con lo stesso rapporto. Lievi perfezionamenti sono stati apportati allo schizzo originale di Leonardo per dare allo spettatore un’immagine più chiara di come ciascuna delle 13 ruote può essere gestita indipendentemente e mantenere il rapporto di dieci a uno».
Ma l’interpretazione di Guatelli fu messa in dubbio da un gruppo di esperti dell’Università del Massachusetts, i quali giunsero alla conclusione che lo schizzo del codice Madrid I non rappresentava una calcolatrice e che l’ingegnere italiano «ha usato la sua immaginazione ben oltre gli intendimenti di Leonardo». L’obiezione principale riguardava l’attrito eccessivo che si sarebbe sviluppato nel meccanismo. In seguito a questo giudizio, il modello fu ritirato dalla collezione e non si sa dove sia andato a finire. Peraltro, come fa notare ancora Hénin, Leonardo stesso, in alcune righe che accompagnano lo schizzo, indica che lo scopo del meccanismo è quello di moltiplicare la forza applicata, come in un sistema di leve, col vantaggio che il moto può essere continuo.
Insomma, per troppo ottimismo e troppo credito attribuito al grande toscano, Guatelli incappò in un errore, proiettando nel passato le conoscenze che possediamo oggi e non tenendo abbastanza conto delle parole di Leonardo. Tuttavia l’interpretazione fantasiosa di Guatelli è stata affidata alla memoria indefettibile e indelebile della rete e così la “calcolatrice di Leonardo” continuerà a riemergere e ad alimentare la leggenda. Ma siamo sicuri che sia proprio una leggenda? A me piace fantasticare che, in qualche manoscritto perduto o non ancora ritrovato, si annidi e risplenda l’ennesima invenzione del genio di Vinci, la sua macchina da calcolo.