La Stampa, 16 febbraio 2019
Elevation, l’ultimo libro di Stephen King
Siamo nell’episodio conclusivo della prima stagione di True Detective, a pochi minuti dai titoli di coda. Contemplando un cielo stellato, i protagonisti si abbandonano a un dialogo tra il filosofico e l’ascetico. «C’è solo una storia, la più antica, – afferma con tono sapienziale il detective Rust Cohle. – La luce contro l’oscurità». Al che il socio Marty Hart osserva arrendevole: «A me sembra che l’oscurità abbia molto più spazio».
Con la sua ultima novella Elevation(tradotta dall’ottimo Luca Briasco), il maestro dell’horror Stephen King torna a Castle Rock – luogo amatissimo dai suoi lettori – con una vicenda che ha molto più a che fare coi chiaroscuri del racconto psicologico che con le tinte decise delle storie di paura. Situata nella stessa topografia immaginaria del Maine in cui sorge l’altrettanto nota Derry, la cittadina di Castle Rock possiede le caratteristiche che spesso rendono la provincia il punto di osservazione ideale per studiare le dinamiche dell’animo umano. Perché è proprio posizionandosi al centro dell’infinitamente piccolo che si riesce meglio a scorgere la portata dell’infinitamente grande.
Il protagonista di questa vicenda, Scott Carey, è un uomo qualunque dei nostri tempi: 42 anni, un matrimonio alle spalle, un solido lavoro e qualche amico con cui giocare a tennis o bere una birra. Non saprebbe dire quando o perché, ma a un certo punto nella sua esistenza irrompe l’inspiegabile: inizia a perdere peso, un chilo al giorno (e questo non potrà non ricordare ai fan del Re un suo romanzo degli anni Ottanta, L’occhio del male). All’inizio Scott neanche se ne accorge, poi via via si ritrova a essere allarmato, divertito, incredulo e nuovamente allarmato, perché se il suo peso corporeo cala in maniera implacabile, la massa resta quella di «un uomo grande e grosso, alto più di un metro e novanta senza scarpe, con la pancia lievemente sporgente». E a nulla serve abbuffarsi di piatti ipercalorici, né del resto nessun disturbo mina l’organismo di Scott tanto da fargli sospettare che quello sia il sintomo di un malessere più grave. Il suo corpo è destinato a rimanere in apparenza quello del «classico maschio bianco incline agli eccessi e poco allenato», come lo definisce una delle sue atletiche vicine di casa.
Nel frattempo, nella sonnolenta Castle Rock, la vita scorre tranquilla fra la tradizionale Corsa del Tacchino (una gara podistica che regala un po’ di gloria locale a chi taglia il traguardo) e il nuovo ristorante messicano-vegetariano che non riesce a ingranare nonostante la deliziosa cucina delle proprietarie (il motivo del boicottaggio è semplice: le due donne sono una coppia sposata, qualcosa che turba profondamente i perbenisti). «Qui la maggioranza è repubblicana da sempre. E dell’ala più conservatrice», si legge a un certo punto, e chiunque conosca gli esilaranti tweet di Stephen King contro Trump sa quanto lo scrittore disprezzi quello che sta accadendo nel suo Paese. Avvicinandosi al «Giorno Zero» (quello in cui l’ago della bilancia non si sposterà più), mentre il campo gravitazionale intorno a Scott prende una curvatura inaspettata, l’uomo intuisce il senso di ciò che gli accade. È chiamato da una forza superiore a pensare alla piccola comunità di Castle Rock come se la osservasse dall’alto, e tutti i pregiudizi, le ripicche, le maldicenze fossero soltanto quello che di fatto sono: miserie umane che si possono spazzare via con l’intelligenza e l’altruismo. Una parabola morale che commuove e dà speranza, ecco cosa ci regala Stephen King con questa misurata e intensa prova che, come nell’edizione originale, ha in copertina la volta celeste illuminata da un fuoco d’artificio. Del resto perfino il nichilista Rust Chole di True Detectiveconclude così la sua dissertazione su bene e male: «Credo che ti sbagli, sul cielo stellato. Una volta c’era solo l’oscurità. Adesso la luce sta vincendo».
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