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 2019  febbraio 18 Lunedì calendario

I 1.371 miliardi fermi nei conti degli italiani

Di che cosa hanno paura gli italiani quando parliamo di soldi? Del futuro, di rischiare troppo, di perderli? Partiamo dai numeri di Banca d’Italia: dei 4.287 miliardi di ricchezza finanziaria posseduta dalle famiglie italiane, ben 1.371 miliardi sono parcheggiati sui conti correnti. Non si incassano interessi, non si spende, non si investe. Secondo l’Abi, nel 2018, i depositi della clientela residente sono aumentati di 32 miliardi rispetto al 2017. Una cifra uguale alla manovra di bilancio approvata a fine dicembre. 
Negli anni 2005-2006 il «polmone» di liquidità dei privati rappresentava il 23% del totale, nel 2009 è salito al 29%, oggi siamo al 32%. Lo stesso discorso vale per le imprese. Alla fine dell’anno scorso, fra titoli immediatamente convertibili e contante, tenevano immobilizzati circa 340 miliardi di euro, oltre il 20% del Prodotto interno lordo, raggiungendo il livello più elevato degli ultimi venti anni. 
Zero interessi sui conti correntiDai dati Abi il tasso di remunerazione medio di questa liquidità è pari allo 0,38%. Ma scendendo nel dettaglio degli strumenti più usati dalle famiglie si scopre che i conti correnti tradizionali rendono zero e costano: 142 euro per una famiglia che fa 228 operazioni l’anno. Il rincaro, negli ultimi tre mesi, è stato del 3,7%. Il dato si riferisce a una media su sette banche italiane, secondo un’indagine de L’Economia del Corriere della Sera del gennaio 2019. Meno costosi, 26 euro per la stessa famiglia, sono i conti online delle principali banche che hanno scelto la strada di avere solo (o quasi) canali digitali. Ma anche i conti di deposito vincolati, dove sono parcheggiati circa 500 miliardi – e che non servono per depositare stipendi, fare prelievi o appoggiare accrediti delle bollette – non sono generosi. Questi salvadanai digitali offrono in media lo 0,5% netto a chi lascia fermi i soldi per un anno. A differenza dei conti operativi non costano, ma l’inflazione marcia allo 0,9% su base annua: la remunerazione non è sufficiente a mantenere integro il capitale «parcheggiato». 
Chi ha poco risparmia chi ha molto non investeOvviamente non tutti i correntisti italiani hanno tanti soldi fermi. La distribuzione della ricchezza, anche quando si parla di denaro subito disponibile, è sempre più disomogenea. Dalla ricerca Ipsos-Acri di ottobre 2018, solo il 78% (-2% rispetto al 2017) potrebbe far fronte ad una spesa imprevista di mille euro. Mentre il 36% (+2%) potrebbe affrontare un’emergenza da 10 mila euro. In sostanza aumenta chi se la cava meglio, mentre chi ha poco, ha sempre meno. Che cosa sta succedendo adesso? Con la frenata del Pil e la recessione «tecnica» ormai certificate, gli imprenditori che intendono fare investimenti nel 2019 sono scesi dal 25% all’11%. Le famiglie sono sempre più prudenti: la propensione al risparmio è salita all’8,1% del reddito disponibile. Significa che se guadagno 100 euro, cerco di metterne via 8. 
Le paure degli italianiChe cosa preoccupa di più? Il 53% degli italiani muniti di conto corrente indica la recessione, il 40% la possibile perdita del lavoro, il 27% teme un aumento delle tasse. Mentre alla domanda: «Che cosa farebbe se le regalassero centomila euro?», il 47% risponde «li metterei da parte». Solo il 14% dei correntisti li investirebbe in azioni, fondi o prodotti finanziari (sondaggio Anima Gfk). Ma quanto costa non investire? Diecimila euro posteggiati su un conto infruttifero dopo cinque anni diventano poco più di 9 mila, per colpa di costi e inflazione. Investiti in obbligazioni internazionali, ipotizzando di riuscire a ottenere gli stessi rendimenti medi del periodo 1900-2017, dopo cinque anni possono diventare 11 mila. L’elaborazione realizzata da AdviseOnly tiene conto di un periodo di tempo molto lungo, in cui si sono susseguiti periodi buoni e stagioni cattive per i mercati.
Quasi 9 miliardi emigrati su conti esteriTra la primavera e l’autunno del 2018, prima che il governo trovasse un accordo con l’Europa sulla manovra, era tornata in primo piano la paura per una possibile uscita dall’euro, oggi indicata solo dall’11% dei correntisti nel recente sondaggio di Azimut Gfk. Serpeggia poi il timore di una patrimoniale. La conseguenza è stata quella di mettere in moto l’interesse per l’apertura di conti all’estero, che consentirebbero di mantenere in euro una piccola/grande quota della liquidità se tornasse la lira. Ma in caso di patrimoniale ci si ripara dalle tasse? Se non si vuole essere perseguiti per evasione, la risposta è no, poiché l’apertura di conti esteri va riportata nella dichiarazione dei redditi. Certo per lo Stato diventa tutto più complicato: non potendo imporre il prelievo automatico a una banca svizzera o maltese, dovrà passare attraverso l’Agenzia delle Entrate, con tutti gli inevitabili contenziosi. A conti fatti la liquidità degli italiani emigrata nel 2018 ammonta a 8,9 miliardi. L’analisi dei flussi sui conti correnti ha riscontrato un aumento di depositi su conti esteri nel periodo marzo-settembre, ovvero quello più critico. 
Le frontiere dei conti onlineQuanto costa scappare senza avere capitali rilevanti? Come tenere un conto in Italia, se non di più: a Monte Carlo un prelievo bancomat può arrivare a 10 euro. Ma anche in questo caso il digitale apre strade inedite. Il conto corrente online N26, che opera con licenza tedesca e che è sbarcato in Italia nel 2017, ha spese ridotte all’osso e 300 mila clienti nel nostro Paese (il 13% dei suoi 2,3 milioni sparsi in 24 mercati europei). Chi lo sceglie si trova titolare di un Iban tedesco. Con i soldi a Berlino, senza dover andare in Germania. 
Come rimettere in circolo il denaroUn maggior raccordo tra la capacità di risparmio dei privati e l’economia reale, quella delle imprese e delle opere pubbliche, servirebbe a rompere il clima di incertezza. Oggi a puntare sull’azienda Italia ci sono i Piani individuali di risparmio: i fondi pieni di azioni e bond di piccole e medie imprese che concedono l’esenzione fiscale a chi resta investito per almeno un quinquennio. Una novità che ha raccolto in due anni più di 15 miliardi, finita però in pausa all’inizio del 2019 perché c’è una nuova normativa e un problema di controllo del rischio per gli investitori da risolvere. In conclusione, questo gigantesco risparmio è il nostro petrolio, se non lo sfruttiamo noi, il sistema si erode e alla fine lo sfrutteranno altri comprandosi le nostre banche. Perché allora non ipotizzare che Stato e imprese possano collaborare per realizzare infrastrutture ad elevato moltiplicatore, e modernizzare il Paese coinvolgendo anche la liquidità delle famiglie. Basterebbe prevedere che parte del fabbisogno finanziario venga ottenuto da obbligazioni garantite dello Stato, e cioè un investimento talmente simile ai titoli di Stato da superare le paure delle famiglie. Un Paese prospera solo quando il denaro circola, non quando resta immobile e sterile su un conto.