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 2019  febbraio 17 Domenica calendario

Intervista a Sonia Bergamasco, che esordisce nella regia lirica

Come sarà l’opera di Mozart Le nozze di Figaro diretta da due donne – una alla regia, Sonia Bergamasco; l’altra, Kristiina Poska, con la bacchetta dell’orchestra? Il progetto biennale del Maggio Musicale Fiorentino, lanciato da Cristiano Chiarot, è la rilettura con tre registe della trilogia Mozart-Da Ponte. Sonia Bergamasco, diplomata in pianoforte a Milano, debutta nella regia lirica. «Mi è arrivata la proposta: è stata così forte che mi ha spiazzato. Mi tremano i polsi ma il lavoro è di tale bellezza...».
Non è nuova al teatro musicale.
«Ho un rapporto diretto con la lirica dai tempi del Conservatorio e con Mozart un’intesa speciale: Mozart chiude nel suo scrigno i segreti del teatro».
Finalmente uno sguardo femminile sugli intrighi di Figaro.
«Per me è importante far luce, accanto a quelle maschili, sulle figure femminili. L’idea del Maggio parte da una complicità: tre registe, tre opere».
Ha incontrato le colleghe?
«Una è Elena Bucci per Così fan tutte; e poi Nicola Raab per Don Giovanni: ci siamo confrontate ma ciascuna lavora in autonomia».
Chi è Figaro?
«Non mi interessa forzare il racconto per portarlo dove voglio io, mi metto in ascolto della trama segreta che passa nelle note con delicatezza ed energia. Cercherò un allestimento di massima libertà. Vorrei che ciascuno spettatore potesse scoprire il proprio Mozart».
Coltiva l’idea del «gioco»? Farà un Figaro sociale come quello di Strehler che picchia con il battipanni i vestiti del padrone?
«Un gioco ma serio, un teatro politico dei sentimenti che va continuamente ridisegnato».
Come si coniugano i molti recitativi con il canto?
«Valorizzando la parte teatrale. Lavoro a fondo con gli attori, tutti giovani e bravi e belli: pensi che nella prima edizione di Mozart, Barbarina aveva 12 anni. Noi non abbiamo minorenni. Un cast duttile sul lavoro di scena, qualità essenziale per Mozart che amava il teatro di prosa, era lettore, viaggiatore, giovane di cultura».
Alla fine vince la commedia o la musica?
«Vincono insieme. Le nozze sono la prima delle tre opere italiane e Mozart si tiene in un equilibrio delicatissimo».
Perché Mozart scelse quel libretto?
«Il testo di Beaumarchais è stato scelto tra cento, era esplosivo per l’epoca, metteva alla berlina l’idea del potere di una nobiltà incapace di percepire i segnali del tempo; racconta una storia politica. Nel 1789 c’è la Rivoluzione e Mozart è un rivoluzionario che non vuole tagliar teste per non perpetuare il meccanismo del potere».
È stato detto che Da Ponte edulcora un poco i fatti…
«Il loro è sempre un lavoro a quattro mani in cui la drammaturgia di parola e quella musicale testimoniano con forza il presente storico. Ma questa folle giornata è anche il racconto delle varie declinazioni dell’amore».
I sentimenti, veri controversi protagonisti.
«Da un lato l’abuso di potere, dall’altro le infinite sfumature dei rapporti, senza giudizi: mi affascina cogliere nell’assoluta perfezione la complessità dei cuori».
Una lettura strehleriana pre-1789?
«Mozart credeva nella nobiltà del pensiero, non ci sta a servire i potenti. Era un massone in un’epoca in cui la parola non correva rischi, lavorava per una società più giusta in cui devono imporsi valori come l’amicizia e la giustizia. Diciamo che credeva nella non violenza».
E le infinite sfumature dell’eros? I personaggi non fanno che travestirsi, scambiarsi identità, sospirare d’amore in momenti erotici ed eretici.
«Certo il Settecento è maestro di libertà sessuale. Immergendosi in quel mondo si coglie quanto siamo stati bloccati in seguito. In questa folle giornata succede di tutto, ogni personaggio scopre qualcosa di inedito di sé: una delle immense lezioni, la vita è movimento incessante».
Una filosofia di parole e musica.
«La vita è nell’accettare l’equilibrio instabile, finché arriviamo nel giardino magico in cui tutti s’incontrano pensando di essere altri».
Sembra il «Sogno di una notte».
«Il mio sarà un giardino scespiriano, autore che Mozart amava molto, tanto che voleva musicare La tempesta. E con un profondo insegnamento, l’accettazione del perdono non cristiano ma basato sulla fragilità umana. È qui che scatta la commozione».
La lezione femminile sullo stare al mondo?
«La fragilità accettata è la nostra consistenza umana, coglierla e manovrarla significa vivere senza sembrare mostri o maschere. Ci sono tanti tipi, Basilio che ha smesso di lottare per l’amore; o Cherubino, l’anima inquieta che percorre tutta l’opera con l’ardore di un adolescente che debutta nell’erotismo della vita. Lo stesso Beaumarchais indicava una donna per il ruolo».
Perché?
«Non esistevano attori maschi con quell’ambivalenza, quella grazia sottile e inquieta in cui il gioco del vestirsi e travestirsi ci racconta anche di una diffusa sessualità tra donne».
Qui si accende lo sguardo femminile su Figaro e la sua epoca?
«Non sono la prima. Esiste una letteratura femminile sull’opera mozartiana che mi ha aiutata, il saggio di Lidia Bramani e Leonetta Bentivoglio E Susanna non vien. A more e sesso in Mozart (Feltrinelli, 2014, ndr), e m’hanno molto illuminato le conversazioni col critico Lorenzo Arruga».
Come apparirà il Giardino?
«Con lo scenografo Marco Rossi pensiamo a uno spazio non connotato storicamente e neppure un’astrazione. S’inizia nel chiuso di una stanza del Palazzo e mentre si scoprono le varie trame ecco che si rivelano altri spazi, ambienti, un vero labirinto dove i personaggi si agitano finché non arriviamo al giardino in cui compare la luna. Nel mio pensiero parto a ritroso come se il verde della natura assediasse le pareti delle stanze e si facesse largo poco alla volta fino a dilagare nei cuori».
Confessi: è anche spaventata?
«Immensamente».