La Lettura, 17 febbraio 2019
L’urlo di Munch diventa grigio
L’urlo di Edvard Munch, l’opera più famosa del pittore norvegese, è un dipinto malato. Diventa grigio, si scolora e il Museo Munch di Oslo non lo espone più per precauzione. «Lo custodiamo in un luogo buio, al riparo dalla luce che lo danneggia – spiega a “la Lettura” Irina Sandu, ricercatrice scientifica per la conservazione delle opere del museo —. Lo renderemo di nuovo visibile al pubblico quando il museo cambierà sede. All’inizio del 2020 ci trasferiremo in un nuovo edificio di 13 piani, dove verrà allestito un ambiente adatto a questo delicato capolavoro».
A indagare sulla patologia che affligge l’opera di Munch, il museo di Oslo ha chiamato i ricercatori del Molab, il laboratorio mobile del Cnr con sede a Perugia. Dispongono dei migliori strumenti tecnologici in assoluto, ideati in buona parte dagli stessi studiosi. Il Molab è il primo e unico progetto in Europa che ha rivoluzionato la diagnosi delle opere d’arte. In precedenza i dipinti uscivano dai musei e prendevano la via di lontani laboratori. Adesso sono i ricercatori a muoversi, vanno nei musei portando gli attrezzi sigillati in robuste casse.
«È stato straordinario – racconta Costanza Miliani, ricercatrice chimica che dirige il gruppo di tecnici del Molab – rivelare il disegno che Munch aveva tracciato prima di stendere il colore. Attraverso la spettroscopia molecolare, gli scanner X e la riflettografia infrarossa abbiamo ricostruito immagini che mostrano strati di varie mescolanze di materiali. E abbiamo potuto individuare la composizione delle molecole: gialli di cromo e cadmio, rosso mercurio, blu oltremare, verde cromo, violetto di manganese. I problemi più gravi derivano dalla instabilità delle formulazioni a base di solfuro di cadmio che l’artista usò per i diversi gialli. Compaiono anche due tipi di rossi di natura organica molto labili che con la luce tendono a scolorirsi».
L’opera risale al 1910. Misura 83 per 96 centimetri. Il pittore la dipinse a olio e tempera su un cartone incollato sopra un foglio rigido che a sua volta è saldato su uno strato di legno, per uno spessore complessivo di 2,5 centimetri.
Fu lo stesso Munch a raccontare l’origine del dipinto. Un orrore violento sconvolse di colpo il suo animo e lo indusse a comunicare attraverso i colori il senso di smarrimento che aveva provato. «Una sera passeggiavo lungo un sentiero con due amici. Era il tramonto. Il cielo divenne di colore rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai al parapetto stanco morto, e sul fondo del cielo nero-azzurro e sulla città vidi posarsi nuvole rosse come sangue e lingue di fuoco. I miei amici proseguirono e io restai indietro tremante di angoscia. E sentii un grido attraversare la natura. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando». Il quadro fu battezzato in tedesco Der Schrei der Natur, L’urlo della natura.
Il luogo descritto, e poi dipinto, è una strada che scivola lungo il fianco della collina di Ekeberg. C’è il parapetto simile a quello del quadro e dall’alto si domina uno scorcio di Oslo. Il cielo dipinto da Munch è reso con lunghe pennellate sinuose che avvampano e vibrano, mentre un vortice terrificante sembra abbattersi sulla città. È uno sfondo lugubre sul quale si staglia un’immagine umana, quasi un fantasma, con la testa calva simile a un teschio, il colore bianco del viso, gli occhi allucinati, le mani attorno al capo in segno di disperazione e la bocca deformata in un grido d’angoscia. In fondo alla strada due passanti ignari di tutto, indifferenti. Nel dolore l’individuo è solo. «Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io».
Munch nasce a Loten, in Norvegia, nel 1863. Aveva 5 anni quando la madre morì di polmonite. Vide morire di polmonite anche l’adorata sorella Sophie. Poi si spense il padre, in preda alla depressione. Lui divenne un uomo tormentato, si vedeva solo in mezzo a una folla di esseri spettrali. Non capiva quale fosse il suo posto nel mondo. Leggeva Nietzsche che scriveva: «Dio è morto», nel senso che non ci crediamo più. E allora che valore ha la vita? La crisi religiosa corrisponde alla crisi esistenziale, la perdita di Dio è assimilata alla perdita di un Padre rassicurante.
Da ragazzo frequenta l’Accademia di belle arti a Oslo, che a quel tempo si chiamava Christiania. Dipinge quello che aveva visto da piccolo. La mamma morta e la bambina è un quadro carico di disperazione. La bambina malata rappresenta l’agonia della sorella. Dopo aver steso il colore lo graffia, tormenta il dipinto. Dice che non dipinge ciò che vede, «ma ciò che ho visto». Sono dipinti del suo «occhio interiore», dell’anima stravolta. Immagini che fanno parte della sua memoria e lo ossessionano per tutta la vita, l’antica infelicità si ripresenta sempre viva e piena di sofferenza.
Munch torna più volte sullo stesso soggetto, ne produce varie versioni perché dice che con il passare del tempo ogni cosa viene percepita in modo diverso. Nel volgere di quasi vent’anni dipinse quattro versioni dell’Urlo. Facevano parte di un ciclo denominato Fregio della vita, che comprende 22 opere, un racconto per immagini sul significato dell’essere umano e del mondo. La prima volta che dipinse quella scena terrificante fu nel 1893. Aveva 30 anni. Usò pastelli per imprimere i colori su cartone. Un quadro di 56 per 74 centimetri, appartiene anch’esso al Museo Munch di Oslo, dove è regolarmente esposto perché i pastelli non sembrano risentire degli effetti della luce. Nello stesso 1893 dipinse di nuovo L’urlo, stavolta usò tempera e pastello su un cartone di 73,5 per 91 centimetri che è custodito sempre a Oslo, alla Galleria Nazionale. In mezzo alle nuvole Munch scrisse a matita: «Poteva essere dipinto solo da un pazzo». Nel 1895, nuova versione dell’Urlo, pastello su cartone di 59 per 79 centimetri. È il quadro che nel 2012 Sotheby’s a New York ha venduto a un privato per la cifra record di 120 milioni di dollari.
L’ultima versione è quella del 1910, che adesso il Museo Munch conserva al buio. È un quadro con una storia movimentata. Il 12 febbraio 1994 due ladri frantumarono i vetri di una finestra del museo e lo rubarono. Fu ritrovato tre mesi dopo. Ma il 22 agosto 2004 L’urlo fu rubato di nuovo. Stavolta i ladri si portarono via anche la Madonna, Munch il dissacratore non l’aveva dipinta come una figura celestiale, ma nuda, inquietante, erotica. Il 31 agosto 2006 la polizia norvegese recuperò entrambi i dipinti.
Ora il quadro, dopo i ladri, deve difendersi dalla luce. La luce che regala brillantezza ai colori rappresenta una minaccia micidiale. Ci si accorse di questo fenomeno verso la fine dell’Ottocento. Nell’edificio che adesso è il Victoria and Albert Museum di Londra erano state introdotte le lampade elettriche. Dopo un po’ di tempo i colori di alcuni acquerelli apparivano più chiari. Due chimici furono incaricati di valutare «l’azione della luce sui vari pigmenti usati nei dipinti». Dopo di allora gli uomini di scienza non sono più usciti dai musei. Consigliano le condizioni ottimali per esporre i quadri, spiegano come proteggerli e come restaurarli. Nel Rinascimento i pittori usavano colori naturali e sperimentati nel tempo. I guai sono cominciati nell’Ottocento con i prodotti sintetici. Erano luminosi e brillanti, in particolare i gialli di cromo e cadmio e i rossi di eosina, i blu di cobalto. Gli Impressionisti se ne entusiasmarono, van Gogh ne fece uso. Ora si è scoperto che alcuni di questi pigmenti sono instabili alla luce e i colori di van Gogh cambiano. «Abbiamo esaminato centinaia di capolavori in tutta Europa – racconta la responsabile del Molab, Costanza Miliani —. Abbiamo svelato i segreti della materia di cui sono fatti e anche la loro storia». In un quadro di van Gogh, Fiori in un vaso blu, i ricercatori hanno identificato alterazioni verso il grigio del giallo di cadmio. Nella Natura morta con un cavolodi James Ensor i raggi X hanno rivelato che negli strati gialli si stanno gonfiando microscopici globuli bianchi. Danni sono emersi anche sulla Gioia di vivere e sul Quadro di fiori di Henri Matisse. Si sta scurendo il giallo di zinco sulla enorme tela di George Seurat Una domenica alla Grande-Jatte.
Vediamo di capire cosa accade. Quando la luce colpisce un oggetto alcune lunghezze d’onda vengono assorbite e altre riflesse. Noi vediamo il colore grazie a quelle riflesse. Se vediamo il colore blu significa che l’oggetto riflette le onde luminose blu e assorbe le altre. Ma la luce è energia e sotto il suo effetto gli elettroni di molecole poco stabili vengono strappati via. La materia è modificata e noi vediamo colori alterati. È ciò che sta accadendo all’Urlo. Munch lo dipinse all’epoca in cui esagerava con l’alcol. Da tempo era finito il suo rapporto con Tulla Larsen, bella, ricca, viziata, che gli sparò un colpo di pistola staccandogli un dito della mano sinistra. Quando i nazisti invasero la Norvegia condannarono le sue opere come «arte depravata». Lui non riuscì a vedere la disfatta nazista. Muore il 23 gennaio 1944. Lascia circa ventimila opere in dono alla città di Oslo, che lo ripaga creando un museo per lui.