17 febbraio 2019
In morte di Gianfranco Soldera
Luciano Ferraro per il Corriere della Sera
MONTALCINO È morto nella sua vigna, come un artigiano al suo tavolo di lavoro. Gianfranco Soldera, 82 anni, era l’eretico di Montalcino. È uscito di strada per un malore, finendo tra i filari. Era da poco stato dimesso dall’ospedale, dopo un mese di ricovero. Con lui, dopo la scomparsa di Franco Biondi Santi nell’aprile del 2013, scompare quel piccolo mondo antico del Brunello, quando per investire nel rosso toscano serviva cuore e coraggio da pionieri.
Soldera era un broker assicurativo. Trevigiano di nascita, milanese per lavoro. Nel 1972 fece rotta su Montalcino, impoverito dall’apertura, otto anni prima, dell’Autostrada del Sole. Schivo e istrionico, semplice e burbero, chiamò la sua azienda (ora di 23 ettari) Case Basse e iniziò a produrre un Brunello inconfondibile. A volte imperfetto, spesso grandioso. «Un precursore della qualità – racconta Gigliola Giannetti, dell’azienda Le Potazzine, vignaiola che ha sempre seguito i suoi principi – puntava sulla naturalità del Sangiovese in purezza. Credeva nei lunghi invecchiamenti e nel valore delle bottiglie, che vendeva a prezzi più alti di molti altri». Ogni anno finanziava e premiava, con un evento alla Camera dei deputati, i migliori giovani ricercatori del mondo per gli studi sul Sangiovese che favoriscono, diceva, «una viticultura naturale autentica e capace di produrre un vino di grande qualità».
L’intransigenza per cui lo osannavano i fans in tutto il mondo gli aveva procurato antipatie e invidie, non soltanto a Montalcino. Oltre a Gigliola Giannetti, al suo ottantesimo compleanno c’era solo un altro produttore di Brunello, Paolo Caprili.
Sette anni fa un dipendente, che diceva di essere stato trattato male per la mancata assegnazione di un alloggio, si era vendicato sversando a terra il Brunello. Soldera aveva rifiutato la solidarietà dei colleghi, pronti a donargli vino, e aveva parlato, in una intervista al Corriere, di «truffa e moltiplicazione di Brunello». Poi aveva lasciato il Consorzio, prima di essere espulso. Querelato per diffamazione, aveva vinto in Tribunale a Milano: per il giudice aveva solo esercitato il diritto di critica. Ma l’eco di quelle polemiche era spenta da tempo. Tanto che è stato proprio il presidente del Consorzio, Patrizio Cencioni, a dare notizia ieri dell’incidente a Soldera, rendendo omaggio al vignaiolo e gelando la platea del teatro di Benvenuto Brunello: «È stato un personaggio emblematico – dice Cencioni – con i suoi grandi vini degli anni 80 e 90. Lo ricordo un giorno con Luigi Veronelli nella mia cantina. Lascia un segno profondo a Montalcino».
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Paolo Massobrio per La Stampa
La notizia della scomparsa di Gianfranco Soldera, fra i più importanti produttori di vino d’Italia, ha fatto il giro del mondo in un battibaleno, giacché proprio a Montalcino, dove dagli Anni Settanta produceva il suo rosso di Case Basse, ieri erano radunati i giornalisti di tutto il mondo per celebrare la nuova annata del Brunello. Ma lui era lontano dai riflettori, ormai da anni, e come sempre stava girovagando fra i suoi 23 ettari a sud Ovest di Montalcino, quando per causa ignote, lui da solo alla guida, l’auto s’è schiantata contro un albero. Inutile ogni tentativo di rianimazione. Aveva 82 anni.
A 35 anni, lui di casa a Milano con un’avviata attività nel campo assicurativo, Soldera decise che il vino buono doveva produrlo in proprio. Il primo amore furono le terre del Piemonte, ma i prezzi dei terreni allora già proibitivi lo portarono in Toscana, a Case Basse, una località di Montalcino dove ha puntigliosamente applicato la sua idea di vigna e di vino, naturale e maniacale, se è vero che selezionava dai grappoli, a mano, acino per acino. Lascia la moglie Graziella e due figli, Mauro e Monica, in cantina con il marito Paolo. E lascia anche i tanti estimatori del suo vino sangiovese di razza, sparsi in tutto il mondo, dato che solo il 3% andava sul mercato italiano. Bottiglie a prezzi da capogiro: 500 euro l’ultima annata 2013, incalcolabili le annate indietro. Nel 2012 salì alla ribalta delle cronache per un fattaccio compiuto da un suo ex dipendente: aprì i rubinetti di 10 botti distruggendo annate pregiate. Il poco vino che è riuscito a salvare lo ha imbottigliato in grandi formati da vendere in aste di solidarietà.In totale aveva raccolto quasi un milione di euro in solidarietà con quelle bottiglie del 2010 sopravvissute. Anche lui si sentiva un sopravvissuto: «Mi hanno ridato 20 anni di vita» aveva detto, parlando di un’operazione alla fine dell’anno passato. Aveva nuovi progetti e fino all’ultimo era stato per le sue vigne con Rino Fontana, l’amico di sempre con cui aveva concepito il bicchiere ideale, tondo, per degustare i suoi vini.
Un vino che migliorava nel tempo, come i grandi vini del mondo, tanto che nel bicchiere cambiava ogni dieci minuti. Così l’altra sera: note di cioccolato e caffè, frutta rossa e rose, in un concerto suadente di profumi che poi invitavano all’assaggio profondo, per un vino austero, memorabile. Come il ricordo che conserviamo di questo straordinario personaggio del vino italiano.