La Stampa, 17 febbraio 2019
Intervista ad André Balazs: «Gestire hotel è come girare un film»
André Balazs e suo padre hanno co-fondato la società biotecnologica Biomatrix nel 1988. André ha iniziato a investire in proprietà immobiliari pochi anni prima di aver venduto con successo Biomatrix nel 2000, e ora possiede e gestisce una serie di boutique hotel di lusso tra cui lo Chateau Marmont di Los Angeles.
Come ha cominciato?
«Ho gestito Biomatrix con mio padre, che è morto due anni fa, 96enne. Lui aveva iniziato come medico a Budapest e ha dedicato la vita allo studio della matrice intercellulare del corpo umano. Ha sviluppato la cosiddetta “molecola magica” per rigenerare tessuti, utilizzata anche per Night Repair di Estee Lauder e per un fluido sinoviale sostitutivo per cavalli da corsa e atleti, Synvisc. Non aveva grande considerazione per i dottori. Era solito dire ai giovani che volevano studiare medicina: “Tutti vogliono fare il medico per aiutare le persone. Ma se anche diventi il miglior neurochirurgo, quanti pazienti potrai curare? Forse 10 mila? Non avrebbe più senso entrare in politica e aiutare milioni di persone?»
Lei come è finito a gestire degli hotel?
«Si scopre una vocazione solo riandando all’indietro nella propria vita. Se sommo tutto capisco dove sono, ed è esattamente dove voglio essere. Amo gli spazi. Adoro la scultura. Andavo spesso a Los Angeles e per comodità soggiornavo allo Chateau Marmont, che all’epoca era un disastro. Mi resi conto che aveva un’atmosfera indescrivibile. Stavano per abbatterlo e costruire al suo posto un condominio, quindi nel 1990 l’ho comprato e da allora lo sto ristrutturando. L’unica cosa rimasta come allora sono i bagni, e ora li stiamo cambiando».
Un anno prima aveva comprato anche il Mercer a New York, vero?
«Sì, avevo acquistato l’edificio vuoto che era stato l’ufficio della famiglia Astor a Soho; avevano fatto fortuna con le pellicce di castoro. Soho è un’area interessante di Manhattan dove non ci sono edifici più alti di sei piani e le strade sono molto corte. La qualità della luce e dell’aria lo rendono molto attraente».
Perché ha scelto la Chiltern Firehouse di Marylebone a Londra ?
«Ho sempre amato Londra, è un posto meraviglioso, eccitante, un crocevia del mondo. La caserma dei pompieri era inutilizzata, come il Mercer. Era una delle prime costruite a Londra, al culmine dello splendore vittoriano. La facciata è sofisticata come una cattedrale».
Le piace restaurare vecchi edifici e aprire alberghi?
«Amo il design. Io paragono la creazione di un edificio alla creazione di un film, ma l’ attività alberghiera in realtà assomiglia di più a un gioco, perché cambia ogni giorno. Non sono molto interessato a gestire grandi catene alberghiere come gli Standard Hotel con cui ho iniziato. Man mano che l’azienda si espandeva perdevo interesse perché non riuscivo più a mantenere il concetto di ospitalità che mi ispirava, a comportarmi da padrone di casa. Me ne vado quando non riesco più a fare le cose in prima persona e sono costituzionalmente incapace di ripetere la stessa cosa due volte».
Qual è il suo lavoro?
«Innanzitutto è comprendere la storia del luogo, la città, la cultura e il quartiere in cui ristrutturiamo un edificio preesistente. Sono affascinato dallo spazio e dal suo impatto emotivo, dai volumi che lo rendono autentico. Lower Manhattan è unica. Marylebone non è Mayfair. Poi c’è un secondo lavoro che consiste nel creare due culture umane: lo staff e gli ospiti».
I suoi sono boutique hotel a 5 stelle?
«Io li definisco 5 stelle bohémien. Lo Chateau Marmont ha una clientela diversa rispetto al Beverly Hills: un produttore cinematografico potrebbe scegliere il Bevery Hills, un vincitore del Golden Globe il Chateau Marmont. Abbiamo clienti interessanti perché questo è quello che interessa a me, ma non divulghiamo i loro nomi e rispettiamo la santità dell’ospite. La gente viene da noi perché vuole incontrare qualcuno nella lobby. Vogliamo essere come una famiglia. Per me la cosa più bella sono gli ospiti abituali e quando si conoscono tra loro».
Il famoso Nuno Mendes è il suo chef al Chiltern. Quanto conta il ristorante in un hotel?
«Abbiamo più personale addetto alla ristorazione che alle stanze, quindi tutti gli hotel sono ristoranti. Sono imprese locali, ma viviamo tempi in rapida trasformazione. Quando inviti un amico a cena, la prima domanda è: “Dove sei mercoledì?” Non: “Sei libero?” Un’intera cultura di persone sofisticate si muove in tutto il mondo. Un tempo si chiamava “il jet set”, ma oggi un redattore di moda junior per Condé Nast fa più miglia di una star del cinema nel 1950».
Aprirà il suo prossimo hotel a Parigi?
«Sì, ho preso tre edifici attigui all’angolo tra Boulevard Saint-Germain e Rue des Saints-Pères, sarà pronto in 24 mesi. Parigi è un mondo completamente diverso, che mi affascina. Ha la bellezza, la cultura e la storia e, a differenza di Manhattan, dove non puoi permetterti di vivere, dispone ancora del controllo sociale per cui New York era famosa».
(traduzione di Carla Reschia)