La Stampa, 17 febbraio 2019
Innocenti in cella: indennizzi per 33 milioni
Finire in carcere senza aver commesso il reato. Gridare la propria innocenza, per mesi, e non essere creduti. Fino a convincersi, in certi casi, di essere colpevoli. Quello che sembra un delirio kafkiano è una realtà attuale. Non in un Paese lontano retto da un governo autoritario, ma in Italia: ogni anno mille persone sono vittime di ingiusta detenzione. Dal 1992 ben 27.308 innocenti sono finiti in cella. Come l’intera popolazione di Assisi. Errori che sono costati alle casse dello Stato 682 milioni di euro di indennizzi. Ma il dramma spesso dimenticato è quello di chi non riesce neppure a ottenere un indennizzo, di chi si ritrova a vivere la seconda beffa.
Innocenti risarciti
Anche nel 2018 gli errori commessi dai magistrati sono stati parecchi. E sono costati allo Stato anche tanti soldi. Il ministero della Giustizia per la prima volta ha deciso di non divulgare i dati, ma tutti i risarcimenti rientrano nei capitoli di spesa del ministero dell’Economia. E così si scopre che i casi sono stati 896 e che gli indennizzi per ingiusta detenzione hanno superato i 33,5 milioni. Gli anni peggiori restano ancora il 2011 (con il maggior numero di casi: 1718) il 2004 (record di indennizzi: 55 milioni) sono lontani, ma il fenomeno sembra avere ancora dimensioni preoccupanti. Da tempo la onlus «Errorigiudiziari.com» cataloga e archivia le storie di ingiusta detenzione in un database unico in Italia. «Dopo aver conosciuto le vittime, lo sentiamo come un dovere civico - raccontano Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi - Ti rendi conto delle conseguenze devastanti sul piano personale, familiare e professionale per il periodo passato ingiustamente dietro le sbarre». C’è persino chi stacca il citofono perché il suono rievoca la notte in cui i carabinieri si sono presentati per l’arresto o chi non può stare in casa con porte chiuse, perché tutto riporta alla mente i passaggi da un braccio all’altro del carcere. Le tabelle che raccolgono i dati delle Corti d’appello sono solo la punta dell’iceberg. Perché il numero totale delle ingiuste detenzioni che si verificano ogni anno sono molti di più. Nelle statistiche ci sono solo nomi e cognomi di chi ha avviato un procedimento contro lo Stato e ottenuto un risarcimento. Ma non includono tutti quelli che hanno una sentenza di assoluzione definitiva in tasca e si sono visti respingere la domanda. Quantificarli non è facile, ma secondo le stime di «Errorigiudiziari.com» un terzo dei procedimenti si arena. Un altro capitolo riguarda chi quella domanda non la inoltra nemmeno. «Ottenere il risarcimento è sempre più difficile perché i giudici riescono a far ricadere la colpa dell’errore sulla vittima - denuncia il presidente dell’Unione camere penali, Gian Domenico Caiazza -. Se uno si è avvalso della facoltà di non rispondere viene accusato di non aver contribuito a chiarire l’errore. Sembra che i giudici si facciano carico dei problemi di bilancio dello Stato per non dover pagare».
Gli arresti affrettati
Ma quali sono le cause principali dell’ingiusta detenzione? «In primo luogo le intercettazioni mal interpretate», sostiene Maimone. Per causare un equivoco basta lo scambio di una consonante in un cognome. «La legge, in teoria, prevede tutte le garanzie per prevenire queste situazioni - spiega il professor Leonardo Filippi, docente di procedura penale all’Università di Cagliari - Tutto accade quando si sopravvaluta un indizio o una prova. Gli organi giudiziari spesso si allargano». Eppure, i provvedimenti della Sezione disciplinare del Csm nei confronti dei magistrati che hanno ordinato arresti illegittimi sono rari. E su questo tema il Parlamento dovrà votare la proposta di legge del senatore di Forza Italia, Enrico Costa: «Prevede che le ordinanze con il risarcimento vengano trasmesse al Ministero della Giustizia e al Procuratore generale della Cassazione per valutare l’avvio del procedimento». Il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick dice chele misure cautelari affrettate vengono usate «non come estrema ratio ma come prima forma di intervento». E sembra d’accordo con lui Otello Lupacchini, procuratore generale di Catanzaro, il distretto che guida la classifica italiana per casi di arresti ingiusti. «Questa emergenza sembra quasi non interessare gli addetti ai lavori - ha detto nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario - quasi che le vittime costituiscano un dato fisiologico». Il messaggio di Lupacchini sembra rivolto ai colleghi, come una specie di denuncia per «l’inadeguata ponderazione degli elementi di prova». Tradotto: il carcere preventivo va ordinato solo in casi eccezionali.