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 2019  febbraio 17 Domenica calendario

La prostituzione nel Medioevo

La prostituzione è una di quelle cose di cui sembra non si possa fare storia, tanto appare immobile nel tempo. Cambiano le maniere, le mentalità, le consuetudini alimentari, cambiano persino i sentimenti, ma la logica elementare della prostituzione – denaro dalla parte del maschio, sesso dalla parte della femmina – resta sempre quella. In più, è uno di quei temi sociali intorno ai quali, proprio per la apparente “naturalità” del fenomeno, le fonti sono più avare.
Maria Serena Mazzi aveva pubblicato nel 1991 un libro molto ricco sull’argomento, più ricco di quanto dicesse il titolo Prostitute e lenoni nella Firenze del Quattrocento, perché in realtà molte pagine erano dedicate ai costumi sessuali dei fiorentini per come si potevano dedurre dai documenti d’archivio e dagli scritti dei predicatori. A sua volta, il discorso sui costumi sessuali sconfinava in quello sui sentimenti e sulle passioni, sicché il libro finiva per dare al lettore molto di più di ciò che il suo titolo così modesto prometteva: una visione originale della vita amorosa e sessuale nell’Italia del tardo Medioevo e della prima età moderna. 
Ora La mala vita riprende la seconda parte di quel libro – quella relativa appunto alla prostituzione – e ne riarticola il contenuto, come usa adesso, in forma narrativa, anche a beneficio di un pubblico di non specialisti, e più celermente (Prostitute e lenoni aveva più di 400 pagine, La mala vita ne ha 180). Entro questi limiti, si tratta di un libro riuscito: pieno di informazioni interessanti, sicuro nella mappatura del fenomeno nello spazio e nel tempo (il libro del 1991 faceva centro su Firenze, qui l’ottica diventa europea, e l’arco cronologico si amplia, dal Due al Cinquecento) e, che non guasta, di lettura molto piacevole. Anche per colpa di stuoli di poeti idealizzanti, dallo stilnovo in poi, il lettore italiano, lo scolaro italiano, ha spesso una visione un po’ falsata delle relazioni tra i sessi nel passato, remoto e prossimo (la storia dei costumi e delle passioni si fa nell’ora di Lettere, non in quella di Storia, purtroppo), e questo libro è un utilissimo contravveleno. 
Le dimensioni ridotte e il taglio divulgativo costringono però a qualche compromesso spiacevole. In molti casi non vengono indicate le fonti («... i ghiottoncelli rubaldi; e quest’ultima definizione, che si incontra in alcune carte dell’epoca»: dove? In quali carte?); in altri, al posto del rinvio alla fonte c’è un’indicazione generica («In alcuni paesi, per esempio, non era ritenuto reato violentare una donna pubblica»: in quali?), o una plausibile, ma congetturale, generalizzazione («Vuoi per non mettersi negli impicci con una denuncia (…), vuoi per una certa dose di tolleranza o per non rischiare litigi e magari ritorsioni, in generale si era inclini al silenzio»). E spesso la suddetta scarsità e reticenza delle fonti porta a ricostruzioni un po’ romanzate, in cui la storica-narratrice non solo interpreta ma integra, colora, per esempio speculando sulle intenzioni dei suoi, diciamo, personaggi: «Mogli abbandonate senza risorse dal marito (…) ricorrevano all’espediente di vendere il proprio corpo per una soluzione rapida e immediata al problema della sopravvivenza, senza credere del tutto che in quella nuova esistenza sarebbero sprofondate fino a perdere di vista un’alternativa» (corsivo mio). Infine, le (giuste) rivendicazioni dell’anno 2018 sembrano aver stinto qua e là sull’argomentazione, con esiti non felici: «Nella meretrice l’uomo, il marito, il legislatore, l’ecclesiastico, il potente e l’umile vedono specchiarsi la propria lussuria, la debolezza della propria carne, la materia stessa dei propri istinti. Godono del suo corpo quando vogliono e come vogliono, sanno che sarà disponibile ad ogni comando e ad ogni richiesta, docile, compiacente; per un’ora o per una notte è stata comprata (…), un corpo contaminato dall’uso di troppi uomini, un corpo da distinguere e da segnalare all’attenzione di tutti…». Narrare, d’accordo; narrare da indignati direi di no.