Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2019
I conti del rugby italiano
Dal punto di vista dei risultati è una specie di vicolo cieco. In Europa (ma sostanzialmente anche nel mondo) l’Italia del rugby gioca quasi sempre con le Nazionali più forti. Inserita in una prima fascia di valore finisce spessissimo per accomodarsi nel vagoncino di coda, quando – per contro – le poche volte che si presenta l’occasione di affrontare squadre meno titolate riesce a far sua la vittoria. È successo a novembre con la Georgia a Firenze. Una vittoria tutto sommato convincente contro i caucasici, che ambirebbero a entrare nel “giro” del Sei Nazioni. Dove però gli Azzurri rischiano l’abbonamento all’ultimo posto. Sabato scorso a Roma hanno perso contro il Galles la 19ª partita di fila del torneo e ormai l’ultimo exploit (in casa della Scozia) risale al 2015. Un record negativo che pesa, un divario che in questo momento sembra allargarsi anziché restringersi.
Insomma, bisognerà cercare di darsi una mossa. Per (ri)conquistare una credibilità che legittimi anche sul piano sportivo i ricchi introiti garantiti dalla partecipazione al Sei Nazioni. Secondo quanto risulta la torta messa in palio l’anno scorso valeva circa 114 milioni di euro e al 75% è stata divisa in fette uguali da 14,2 milioni ciascuna. Un ulteriore 15% viene ripartito sulla base del piazzamento ottenuto: per quanto riguarda il 2018, più o meno 6,3 milioni sono andati all’Irlanda e la cifra comprende anche un bonus per avere vinto tutte le partite; seguono il Galles con 3,8 milioni, la Scozia con 2,6, la Francia con 2,1, l’Inghilterra con 1,7 e l’Italia con 900mila euro. L’ultimo 10% premia la consistenza del movimento rugbystico dei singoli Paesi, calcolato sui club affiliati: qui Inghilterra e Francia si staccano nettamente aggiudicandosi 4,6 e 4 milioni, mentre per le altre le piccole dimensioni di Galles, Irlanda e Scozia e la minore diffusione del rugby in Italia portano a un incasso attorno ai 700mila euro a testa.
Il bilancio dei proventi redistribuiti nel 2018 tra le sei protagoniste vede dunque in testa l’Irlanda, che in totale dovrebbe avere toccato quota 21,5 milioni, e sul podio Inghilterra e Francia, rispettivamente con 20,5 e 20,3 milioni. In scia si trovano il Galles (18,7), la Scozia (17,5) e l’Italia, con 15,8 milioni. Al di là di alcune voci collaterali vanno poi aggiunti gli incassi, e qui ogni federazione tiene per sé il 100% in occasione dei propri incontri casalinghi: per due soli match, contro Inghilterra e Scozia, i botteghini “virtuali” dell’Olimpico hanno venduto biglietti per 4 milioni e dunque anche nel 2018 in sole entrate dirette il torneo dovrebbe avere fruttato alla Fir circa 20 milioni: una somma non troppo lontana dalla metà dell’intero giro d’affari, che nel 2017 si era attestato a 44,5 milioni.
Anche se nel 2019 i match interni saranno tre, la cifra derivante dal ticketing risulterà in calo. Nel 2017 per gli incontri con Francia, Galles e Irlanda ci si era fermati a 3,5 milioni e otto giorni fa la prima partita in casa ha registrato l’affluenza di 38.700 spettatori (tra cui circa 10mila britannici), un dato drasticamente in calo rispetto alla media di 60mila totalizzata lo scorso anno. Dai biglietti venduti viene un apporto significativo ma è facile intuire che su questo versante gli altri fanno meglio. Spostiamo fuori dal campo il confronto tra Galles e Italia: a Cardiff il Millennium Stadium, con i suoi 72.500 posti, è sempre esaurito e i prezzi viaggiano su livelli più alti. Sempre equiparando tutto nella moneta continentale, in casa dei “Dragoni” si va da un minimo di 46 a un massimo di 125 euro, mentre all’Olimpico si parte da 30 e si arriva a 90.
Un altro calo previsto nelle entrate è legato all’avvicendarsi dello sponsor: ha lasciato NatWest, che aveva sborsato 12,5 milioni di euro, e in virtù di un contratto articolato in sei anni le è subentrata Guinness, che per ogni stagione pagherà cifre a salire ma intanto parte da “soli” 7 milioni.
Resta il fatto che il Sei Nazioni è un affarone per tutti e, fatti i confronti del caso, soprattutto per l’Italia: grazie a quel 75% di proventi divisi in parti uguali, nonostante le differenze enormi nelle vendite dei diritti tv nelle varie nazioni. I milioni di euro in arrivo dalle emittenti superano quota 100 e oltre la metà proviene dall’accoppiata Bbc/Itv per la diffusione delle partite nel Regno Unito (che fa registrare audience da “festival di Sanremo”, si vedano i 10 milioni di telespettatori sfiorati per Inghilterra-Francia nel 2015). Perfino nella piccola Irlanda, con una popolazione attorno ai 5 milioni di persone, la quota annua di 3,3 milioni pagata da TV3 supera l’importo versato da Discovery per assicurarsi i diritti in Italia tramite DMax. C’è solo da augurarsi che questa miniera resti aperta il più a lungo possibile.