il Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2019
Intervista a Filippo Nigro
Con Filippo Nigro la sorpresa è già dalla stretta di mano, decisamente vigorosa; poi la conferma dello stupore arriva da tutto il resto: parole a profusione, sorrisi, incroci di pensieri, incroci di ricordi da bambino, riflessioni sull’oggi, all’improvviso ecco Scerbanenco (“l’ho appena scoperto, un grande”), la citazione di Blade Runner, quindi i figli, i tempi della scuola, di nuovo i suoi cinque anni (“mi spedirono pure dal professor Bollea”), e insieme la soddisfazione per la prossima uscita di Suburra 2, la fiction sul sottobosco romano, in onda dal 22 febbraio su Netflix (interpreta Amedeo Cinaglia, un politico in teoria molto idealista, in pratica molto corrotto).
Insomma, un caos organizzato, un vortice nel quale è piacevole perdersi, e lontano dalla sua sintesi cinematografica, dove spesso ha incarnato ruoli da persona pacata, magari l’omosessuale tormentato dalla situazione o, appunto, il politico alle prese con la propria coscienza: “Ai tempi del liceo in molti mi avevano pure scambiato per fascistello. Forse questa professione mi ha aiutato”.
Frainteso da subito.
Secondo me ero abbastanza decifrabile, in realtà alcuni mi credevano fascista per via di un fisico un po’ pronunciato, ma praticavo atletica e mi allenavo molto.
Se la prendeva?
A Roma si dice “rosicare” (sì, se la prendeva). Però chi mi conosceva sapeva benissimo com’ero, tra questi lo stesso Giovanni Floris, anche lui a scuola con me.
In classe insieme?
Lui più grande di alcuni anni.
Com’era al liceo?
Giovanni? Uno super preciso, già allora con il suo aplomb, più o meno com’è oggi, solo con trenta e passa anni di meno.
Dicevamo la “rosicata”…
L’incasellamento obbligatorio di quegli anni mi infastidiva: dovevi rientrare in certi schemi, dagli atteggiamenti all’abbigliamento, a cosa leggevi o ascoltavi. Se sgarravi qualcosa, era la fine. Anche le mie sorelle ridevano di me.
Botte, mai…
Per fortuna sono sempre riuscito a far credere che fossi pericoloso, e senza dover arrivare allo scontro vero. Se mi fosse capitato realmente non so come avrei reagito.
Perfetto.
Stefano Sollima una volta mi ha definito in un modo stupendo: “Sei il corpo di Bruce Willis con la testa di Woody Allen”.
Calza…
Abbino questa fisicità a un atteggiamento impulsivo e scattoso.
Compreso con Giuliano Ferrara.
Che storia, quella.
Quasi un caso politico.
Con un gruppo di amici stavamo per strada a chiacchierare, a un certo punto vediamo passare Ferrara, da poco nominato ministro del primo governo Berlusconi, a passeggio con la moglie e il cane; e così, a cacchio, abbiamo iniziato a insultarlo.
Cosa dicevate?
Non eravamo lucidissimi.
E questa è la giustificazione.
Detto di tutto, lui come niente fosse, neanche una minima reazione, poi uno di noi balbetta la parola magica: “Ri-riii-riiinnegato!”. Silenzio improvviso. Ferrara immobile.
E…
Molla il cane alla moglie, torna indietro e gli dà una pizza (schiaffo) in faccia.
A quel punto?
Gli siamo saltati addosso, e ricordo la sua mole incredibile, non riuscivo a fermarlo, le mie braccia affondavano nella sua pancia, mentre la moglie piagnucolava: “Ogni sera la stesa storia, non possiamo più uscire di casa”.
E poi?
Il giorno dopo ci siamo ritrovati sui giornali con titoli enormi e dal tono: “Quattro cretini danno del ciccione a Ferrara”.
Lei studioso?
In casa sono cresciuto con il ruolo di scarso, invece mi sono diplomato con un voto migliore delle mie sorelle (e scoppia a ridere, soddisfatto).
Orgoglio.
In generale sono pessimo negli impegni a lungo termine, mentre sono capace di exploit incredibili nelle sfide a breve: a scuola potevo imbroccare la versione del compito in classe, ma toppare l’interrogazione generale. Infatti ero un velocista.
Nell’atletica.
Correvo i 100 metri. Tutto torna.
All’università ha studiato Storia Medioevale.
Dodici esami e mi piaceva tantissimo; a un futuro d’attore non ci pensavo proprio, sono finito al Centro Sperimentale quasi per scherzo, da una serie di battute dentro casa e con gli amici, del tipo “vabbè, sei forte, devi fare l’attore”.
Fino a quando?
Ci ho provato un po’ per caso dopo aver accompagnato un amico ai provini; e li ho passati.
Folgorazione?
Macché: al Centro non mi sono divertito molto, e ho scoperto che è un problema comune; poi negli anni ho incontrato quelli che mi dicevano “che belli quegli anni”, ma chi lo pensa non ha quasi mai proseguito nella carriera.
Mentre lei…
Ricordo delle torture psicologiche per scavare dentro di noi, per acquisire la tecnica, e ogni volta riflettevo dentro: “Ma chi me lo ha fatto fare? Ma che sto a fa’?”. In realtà è stata la miglior scelta della mia vita, presa inconsapevolmente.
Perché è andato avanti?
Per culo, poi altri si sono ritirati e ho deciso di non mollare, e grazie alla mia famiglia.
Genitori complici.
Mio padre diceva sempre: “Non ti preoccupare e prosegui”.
Non si è dispiaciuto per l’università?
Sì, però mi ha incoraggiato sulla recitazione e nonostante l’assenza di tradizione familiare; forse aveva capito quanta influenza positiva aveva sul mio carattere.
Lei nel frattempo…
Piccole parti in alcune fiction come I ragazzi del muretto, girato in Bulgaria, o la Dottoressa Giò, e ancora Un posto al sole. Accettavo qualunque ruolo.
Qualunque….
Almeno lo ammetto, ci sono colleghi che negano l’evidenza per evitare una presunta vergogna.
Anche in Bulgaria.
Pagato in contanti con pezzi da cinquemila lire consegnati dentro una busta.
All’inizio cosa l’attirava di questa carriera?
La solita premessa: ero un po’ strano caratterialmente, un po’ problematico, con tanto di certificato di Bollea (celebre psichiatra).
Un luminare.
C’è gente che quando lo scopre sgrana gli occhi: “Ma davvero sei stato in cura dal grande?”.
Certificato di qualità.
Ero il figlio complicato e pure sonnambulo.
Cosa aveva scritto Bollea?
Ricordo le parole “bicicletta”, “pallone” e “padre”, poi aveva aggiunto di lasciarmi utilizzare la mano desiderata e soprattutto di trattarmi normalmente; pochi anni fa le mie sorelle lo hanno ritrovato, ancor mi prendono in giro.
L’accademia l’ha veramente aiutata…
Eccome. Giocare a entrare nei panni di un’altra persona ti distoglie dalle bolle mentali che ti crei: già a quei tempi l’esperienza mi causava una vaga sensazione di benessere.
Uno attivo come lei come gestisce le lunghe pause sul set?
In realtà mi piacciono e amo i personaggi dove posso stare zitto e ascoltare, un po’ come Cinaglia.
Compromessi?
Sempre.
Compreso sul lavoro?
Però non sono mai stato uno ossessionato, quando da ragazzo mi domandavano “cosa vuoi dal futuro?”, pensavo sempre ad avere figli (il suo braccio destro alza gli occhi al cielo. E Nigro: “Va bene, cosa devo farci? Mi vengono in mente, non voglio mica passare da familyman!”).
Lei ha dichiarato: “Dopo ‘La finestra di fronte’ ho capito che avrei vissuto di questo mestiere”.
È il mio film fortunato, e quasi ogni attore ha il suo: da lì ho iniziato a lavorare con continuità, però se ripenso al me di allora, mi rendo conto di quanta emotività immettevo su ogni lato della vita professionale: anche una conferenza stampa era un’angoscia, magari vedevo un collega più grande di me tutto spigliato, mentre a me sudava anche la mano.
Oggi no…
Non sono il principe della promozione però sono migliorato.
Il suo primo lavoro?
Un cortometraggio girato da Paolo Franchi per il Centro Sperimentale: allora mettevano a disposizione 50 milioni per l’opera, e gli aspiranti registi di solito utilizzavano l’intera somma per ingaggiare attori professionisti. Paolo no. E fu geniale: con quel budget chiamò il top tra direttore della fotografia e la crew generale. Io protagonista: in quel caso diventai per la prima volta calvo.
Maledetta calvizie….
Durante Ris un giorno Ugo Dighero mi guarda e sorridendo dice: “A Filì, guarda che culo che hai: ti stanno venendo due corridoi ai lati della testa”. Uno schiaffo. All’improvviso mi sono guardato allo specchio con un’altra prospettiva negli occhi e ho pensato: “Perché nessuno mi ha mai detto prima come sono messo?”.
Benedetta rasatura.
In una fase ero ridotto in maniera allucinante.
Luca Argentero, con il quale ha lavorato un paio di volte, sembra il suo opposto.
(Sorride) Ha quasi dieci anni di meno, ma sembra mio padre.
Ecco.
Con lui mi sono sempre divertito (squilla il cellulare: “Marcè, sono impegnato… Di che… di che… tranquillo. A dopo”). È mio padre…
Lo chiama Marcello.
Un gioco iniziato anni fa e mai finito; neanche ricordo perché è partito. Una volta mio figlio ha provato a chiamarmi Filippo, gli ho dato una stecca (tradotto: schiaffone amichevole).
È orgoglioso di lei?
Ha 14 anni, è nella fase di uccisione del padre. Che stavamo a di’?
Argentero.
In una scena dovevamo praticare canottaggio, io felicissimo, almeno qualcosa dove potevo sfogare la mia energia. Quindi per allenarci, a Trieste, scendiamo in acqua alle sei di un mattino di maggio. Io, carico, inizio a darci sotto e a parlare a raffica del film, a un certo punto sbaglio una remata, lo schizzo; a quel punto Luca sbrocca: “Basta! Io già ti immagino com’eri a scuola: tutto agitato”.
Lei.
Mi sono girato: “Sembri mio nonno”.
A lei manca il ruolo della vita, con la quale può venir identificato.
È vero, e spero sempre di ottenerlo.
Però…
Nel mondo di oggi in pochi lo trovano, è un po’ complicato. Forse la parte che ho più amato l’ho ottenuta a teatro con Occidente solitario: amo il palco, mi regala sempre delle emozioni bellissime, nonostante molti attori di cinema lo considerino un momento di bassa per la carriera…
Dopo tanti ruoli “calmi” è stato tra i protagonisti in “Acab”, in cui la violenza avvolge.
Dopo quel film mi fermavano i fascistoni per dirmi: “Buttamoli fori ’sti rumeni de merda”. A un certo punto mi sono pure angosciato. Imbarazzante. C’è una scena in particolare, molto violenta, durante la quale ho scorto persone insospettabili goderne oltre la chiave cinematografica.
Salvini le piace?
Per niente, è un furbo, e l’aspetto che mi perplime maggiormente è questo suo appartenere a una destra che non manifesta mai dubbi, solo presunte certezze.
A lei i dubbi piacciono.
Tantissimo.
Dei suoi colleghi, chi ama di più?
Claudio Santamaria e lo dico con affetto: è un caro amico nonostante oramai ci vediamo pochissimo.
Troppi impegni.
In parte è colpa mia, sono pigro, non mi va mai di uscire: da ragazzo, quando andavo alle feste, resistevo pochi minuti e poi me ne andavo… (ci pensa) Forse allora il mio era un atteggiamento, in sostanza mi veniva l’ansia, preferivo stare a casa e godermi un film.
Su Google è il terzo Filippo dopo Inzaghi e Timi…
Davvero? Allora è andata benissimo.