Libero, 17 febbraio 2019
Trecento Comuni falliti o quasi
In Italia ci sono 317 Comuni, dunque uno su 25, che hanno le casse in dissesto oppure stanno ricorrendo alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, detta anche pre-dissesto. Nella prima categoria rientrano 106 municipi, nella seconda 211. Il dato, fornito dall’Anci, è aggiornato a gennaio. In testa a questa inquietante classifica ci sono, in ordine, la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania. In Sicilia, complessivamente, sono in difficoltà 62 amministrazioni, il 15,9 per cento sul totale dell’isola. In Calabria i Comuni in crisi sono 60 (il 14,9 per cento della regione), in Puglia sono 30 (l’11,6 per cento del territorio) e in Campania sono 61, l’11,2 per cento. Dei 317 Comuni, 243 (quindi 2 su 3) si trovano al Sud (considerando anche l’Abruzzo). Il dissesto si verifica quando l’ente locale non riesce a garantire l’ordinaria amministrazione né i servizi indispensabili alla cittadinanza. Il piano di riequilibrio è invece la procedura che l’ente può adottare prima di andare in default. In entrambi i casi i Comuni interessati sono sottoposti a limitazioni. In un municipio in dissesto, ad esempio, le bollette e le aliquote vengono fissate al livello massimo consentito, l’amministrazione deve vendere gli immobili ritenuti non indispensabili per lo svolgimento di attività e servizi istituzionali, e ha l’obbligo di ridurre il personale. Il risanamento delle casse, quindi il ritorno alla gestione ordinaria, è vincolato al parere della Corte dei Conti. Obbligo di risanare Guardando la cartina dell’Italia balza all’occhio la gestione diametralmente opposta dei Comuni del Sud e di quelli del Nord. A settentrione, per intenderci, il dissesto o il pre-dissesto sono inesistenti in Friuli Venezia Giulia, in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta. Si tratta di Regioni a statuto speciale, certo. Ma lo è anche la Sicilia, dove però dal 1989 (anno in cui è entrato in vigore nell’ordinamento giuridico l’istituto del dissesto finanziario) al 31 dicembre 2017 sono state 107 le amministrazioni alle prese con criticità finanziarie. Il caso più recente è quello del Comune di Catania, lo scorso dicembre costretto a dichiarare il dissesto a fronte di un miliardo 600 milioni di euro di debiti. Osservando ancora l’archivio dall’89 in avanti spiccano i 222 casi di dissesto o pre-dissesto emersi in Calabria. Per rendere ancora meglio l’idea, in Veneto negli ultimi 20 anni ci sono stati solo 3 casi, così come in Sardegna. Otto quelli che si sono verificati in Liguria. Dall’89 l’82 per cento delle procedure di dissesto ha riguardato Comuni del Sud, l’11 per cento quelli del centro, e appena il 7 per cento quelli settentrionali. È dunque ridicolo che oggi molti amministratori meridionali evochino «la secessione dei ricchi» di fronte alla richiesta di autonomia del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, territori amministrati in modo virtuoso. Non ci risulta che finora le tre Regioni abbiano goduto di trattamenti di favore, anzi, specialmente il Lombardo-Veneto ha sempre trainato il carrozzone-Italia. Eppure gli amministratori del Sud (non tutti, ci mancherebbe) hanno continuato ad accumulare debiti. Sono stati loro, per citare un’espressione utilizzata dai nemici dell’autonomia, a creare «cittadini di serie A e di serie B». Come non ricordare il “decreto salva Napoli”, tramite cui il sindaco Giggino De Magistris vorrebbe rimediare a decenni di pessima gestione della città del Vesuvio? a caccia di consensi «Più di un’amministrazione» commenta a Libero Virginio Brivio, sindaco di Lecco e presidente di Anci Lombardia, «si ritrova in questa condizione per superficialità ed arroganza. Pur di ottenere consenso parecchi sindaci hanno sovrastimato le entrate». Secondo il numero uno nazionale dell’Anci, il sindaco di Bari Antonio Decaro, molti Comuni si trovano in difficoltà «a causa del taglio ai trasferimenti da parte dello Stato, 576 milioni di euro all’anno», sottolinea al nostro giornale, «e perché nelle zone dove ha colpito maggiormente la crisi le famiglie e le imprese hanno pagato meno tributi». «Per i Comuni in dissesto e pre-dissesto avevamo spalmato il disavanzo in trent’anni» spiega ancora Decaro «ma l’operazione è stata bocciata da poco dalla Consulta». I municipi di mezza Italia, quindi, dovranno trovare un’altra soluzione.