17 febbraio 2019
In morte di Bruno Ganz
Gloria Satta per Il MessaggeroFiglio di un operaio svizzero e di una italiana, artista poliglotta e cittadino del mondo, attore simbolo del Nuovo Cinema tedesco esploso negli anni Settanta, Bruno Ganz è morto a Zurigo a 77 anni a causa di un tumore contro cui ha lottato tenacemente fino all’ultimo. Nato il 22 marzo 1941 a Zurigo, lascia orfano il cinema d’autore del vecchio continente e un pubblico molto vasto: il suo versatile talento viene universalmente considerato il migliore, di lingua tedesca, degli ultimi decenni. Lanciato dal regista Wim Wenders che lo volle nei suoi film-cult come L’amico americano in cui interpretava il corniciaio Zimmermann, Il cielo sopra Berlino (era l’angelo Damiel, destinato a vedere il mondo in bianco e nero), Così lontano così vicino, Ganz ha collezionato una serie di interpretazioni monumentali. È stato Nosferatu nell’omonimo remake del classico di Murnau diretto da Werner Herzog, Martin Lutero in Luther genio ribelle di Eric Till, un impressionante Hitler in La caduta di Oliver Hirschbiegel («Avrei voluto arrivare al cuore di Adolf – disse l’attore – ma ho fallito perché non c’era un cuore»), Papa Giovanni Paolo II in Non abbiate paura di Jeff Blackner, il giornalista guru Tiziano Terzani in La fine è il mio inizio di Jo Baier. Di recente si era divertito a fare lo zio di Heidi nel film sul personaggio fiabesco diretto da Alain Gsponer e la sua ultima interpretazione è nell’horror di Lars Von Trier La casa di Jack (ha il ruolo di Verge, interlocutore-alter ego del serial killer Matt Dillon), atteso nelle sale il 28 febbraio dopo un controverso passaggio all’ultimo Festival di Cannes.Ganz aveva lavorato anche in Italia: con Giuseppe Bertolucci in Oggetti smarriti e La domenica specialmente, diretto da Silvio Soldini era stato l’interprete maschile di Pane e Tulipani accanto a Licia Maglietta, con Mauro Bolognini aveva girato La vera storia della Signora delle Camelie e con Nelo Risi Un amore di donna. Nella sua lunga carriera, l’attore è stato scelto anche da Eric Rohmer, Jeanne Moreau, Peter Handke, Theo Anghelopoulos, David Hare, Jonathan Demme, Francis Ford Coppola, Bille August, Atom Egoyam, Sally Potter. Con Ridley Scott, nel 2013, aveva interpretato nel ruolo di un Papa l’episodio pilota della serie The Vatican, un progetto poi cancellato dalla rete produttrice ShowTime.Ma nella carriera di Ganz anche il teatro ha occupato un ruolo di primo piano. I suoi più grandi successi sono legati al regista Peter Stein e all’attrice Edith Clever con cui l’attore fondò, a Berlino nel 1970, la famosa compagnia Schaubühne d’ispirazione brechtiana. Tra le sue interpretazioni migliori per il palcoscenico figurano il Prometeo incatenato e il Faust di Goethe, una maratona che lo vide in scena per 11 ore consecutive. Ganz ha avuto un figlio (Daniel, oggi 47enne) dalla prima moglie Sabrine da lui lasciata per l’attrice autriaca Romy Schneider. Ha continuato a dividersi fino all’ultimo tra le sue case di Venezia, Berlino e Zurigo dove viveva con la fotografa e cineasta tedesca Ruth Waltz, l’amore della maturità.
***
Maurizio Porro per il Corriere della Sera
È morto Bruno Ganz, attore che ha saputo essere un vero angelo (in Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders) e un vero diavolo, vedi il finale di partita di un isterico, urlante Hitler in La caduta del 2004. E non si può non pensare che l’ultimo ruolo è stato in La casa di Jack di Lars von Trier, di prossima uscita, dove è consulente spirituale di un serial killer, guidandolo nell’aldilà come un dantesco Virgilio. Temperamento romantico tra i più profondi e radicati nel vecchio continente, il Bruno Ganz se ne è andato a 77 anni nella sua Zurigo, dove era nato il 22 marzo del 1941, nella notte di venerdì a causa di una malattia che l’aveva colpito mesi fa. Il bilingue artista svizzero tedesco, intellettuale amante e complice di tormentati classici (Empedocle, Prometeo, Baccanti) e di altrettanto complicati contemporanei, aveva in tasca e negli occhi la forza dei sogni che gli permetteva di passare da un memorabile Amleto al Principe di Homburg al Peer Gynt, lavorando con massimi registi come Peter Stein e Klaus Michael Gruber.
Nato da un operaio svizzero e madre italiana, aveva diverse nazionalità artistiche, tedesco di nascita e formazione culturale, basti pensare al conte russo innamorato di Edith Clever nella Marchesa von O. di Kleist diretto da Rohmer, aveva aggiunto l’amore per l’Italia in Pane e tulipani di Soldini nel ruolo di un timido cameriere che riaccende un sogno d’amore a Venezia, città di cui si era innamorato. E in Italia aveva lavorato con Giuseppe Bertolucci in Oggetti smarriti, un film d’amore esistenziale alla Stazione di Milano con la Melato, con la Huppert Signora delle camelie per Bolognini, nella serie tv su Coppi (era l’allenatore non vedente) e impersonando Tiziano Terzani in un film biografico cui ha regalato la misura di una profonda commozione, La fine è il mio inizio.
Ma se l’Italia era un aperto capitolo di ricambiato amore, Ganz ebbe l’imprimatur del grande teatro berlinese anni 70 formando con Stein il mitico «Schaubuhne», dove cambiava anima e abito tra Gorkij, Ibsen, Brecht, Hölderlin, fino a Botho Strauss poi tornando a Eschilo. Attore intellettuale, sapeva essere vicino al pubblico che ne riconosceva la sua verità interiore trasposta in molti personaggi, da Wenders in poi, anche con un pizzico di humour.
Angelo disarmato di fronte al disamore del mondo, in Il cielo sopra Berlino e poi nel sequel Così lontano così vicino era stato complice del cammino spirituale del regista con cui aveva cominciato la carriera in pieno noir (L’amico americano).
Il nuovo cinema tedesco di Handke, Schlöndorff, Herzog, la Germania del dopoguerra, l’annuncio della desolazione di un mondo che entrava in un’altra dimensione, dove era meglio essere un angelo innamorato e invisibile. Insomma la crisi dei rapporti visti dall’angolo espressivo di un attore essenziale, sfaccettato ma sempre europeo, un po’ come Albert Finney morto da poco.
Onorato da premi ovunque, dal David di Donatello al Pardo del Festival di Locarno, Ganz non si fece mai sedurre dalle sirene del cinema americano (solo i Ragazzi venuti dal Brasile) ma accettò sua sponte scegliendo le occasioni di rilancio dello spettacolo intimista.
Teneva Amleto come bussola e il grande teatro come riferimento, alternando tragedie e commedie dello spirito (L’eternità non è un giorno, testamento di Anghelopoulos) senza il sovrappeso retorico ma con naturale, profonda leggerezza, la stessa con cui sapeva passare da Goethe al nonno di Heidi nella fiaba svizzera rifatta nel 2015: perché in fondo ogni storia, con quegli occhi, era degna d’essere raccontata.