il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2019
Contro Silvia Sardone
Giovedì sera a Piazza Pulita è andata in onda una delle scene più avvilenti a cui mi sia capitato di assistere in questi tempi già piuttosto barbari per il livello (infimo) del dibattito su italiani e stranieri. Il tema era l’assegnazione delle case popolari a Sesto San Giovanni, roccaforte rossa crollata nel 2017 con l’elezione del sindaco di centrodestra Roberto Di Stefano, che sulla scia di quello accaduto a Lodi con le mense scolastiche, ha di fatto impedito alla maggior parte degli stranieri di poter ottenere una casa popolare.
L’escamotage burocratico è il solito: si chiede una documentazione che attesti l’assenza di altre fonti di reddito nel Paese di origine, ma tale documentazione è di complessa reperibilità e gli stranieri, pur risultando tra i primi in graduatoria, vengono tagliati fuori.
Gli ospiti invitati a dibattere erano, tra gli altri, il sindaco di Sesto San Giovanni Roberto Di Stefano e il consigliere regionale nonché moglie di Di Stefano, Silvia Sardone. Il servizio sulle condizioni di vita di alcuni stranieri a Sesto era impressionante. Rania, egiziana, vive in pochi metri quadri con i suoi figli di cui uno con la talassemia e la necessità di un trapianto di midollo. Hanno un bagno condiviso con 90 persone, in una vecchia fabbrica occupata, da cui a marzo tutti dovranno andare via. I bambini raccontano degli scarafaggi, del freddo, dei compagni di scuola che scrivono la lettera al sindaco perché anche loro possano avere una casa di mattoni.
Il dibattito inizia con toni normali finché non prende la parola Silvia Sardone, che al grido di “prima gli italiani” inizia a schiamazzare contro chiunque abbia posizioni orribili, estremiste, anti-democratiche quali “prima le persone” o “restiamo umani”. Se qualcuno parla, lei consulta il telefonino, interrompe con la petulanza della Santanchè e il populismo da bar di Salvini, tant’è che a un certo punto perfino il mite conduttore, Corrado Formigli, perde la pazienza e le dice che quei toni sguaiati gli fanno schifo, che non è facile come dice lei avere quella documentazione. La Sardone gli punta il dito contro: “Mi sta dicendo che sto mentendo?”, il pubblico rumoreggia, gli altri ospiti sono annichiliti. Tutti, compreso il marito, che probabilmente pur di scappare dalla casa che condivide con la moglie, farà richiesta di una casa popolare pure lui (ieri sera abbiamo capito chi dei due è il vero sindaco di Sesto San Giovanni).
L’egiziana Rania, quella col figlio malato, le spiega con calma che per avere la documentazione richiesta dovrebbe spendere 30.000 euro e avere documenti da 27 regioni egiziane. La bionda consigliera si stizzisce: “Signora, lo sa che lei sta commettendo un reato perché sta occupando abusivamente una palazzina?”. A nulla serve spiegarle che sta parlando con una donna in difficoltà, che se non fosse impantanata in questa burocrazia strumentale avrebbe diritto a una casa popolare. Formigli è così disperato che si rivolge a Pietro Senaldi, direttore di Libero, ripeto, di Libero, chiedendo a lui di riportare un po’ di saggezza sul tema stranieri nella discussione, che è tipo chiedere a Cristiano Malgioglio di riportare un po’ di sobrietà a una festa. Gli domanda addirittura se tutto questo odio non sia pericoloso. Al direttore del giornale che titolò “Bastardi islamici”. E il bello è che Pietro Senaldi, dopo le farneticazioni rabbiose della Sardone, finisce per sembrare davvero Gino Strada.
Ora, a parte l’agghiacciante disumanità del teatrino, a parte la tesi ridicola e sottintesa secondo la quale Rania e il marito nasconderebbero trilocali vista piramidi in Egitto per vivere in Italia in un buco con gli scarafaggi giusto per il gusto di fregare gli italiani, quello che fa effetto è il pulpito. Silvia Sardone, l’italiana integerrima, ex frequentatrice del Circolo del Buongoverno di Marcello Dell’Utri, militante in Forza Italia fin da giovanissima (ora fuori da Forza Italia e poco amata perfino dalla Lega che non la vuole), a 27 anni diventò presidente di Afol (Agenzia per la formazione del lavoro) fortemente voluta da Guido Podestà, allora presidente della Provincia. Qui, tra nomine riservate ad amici incapaci e spese contestate, fece tali e tanti casini che venne denunciata dai revisori dei conti. Proprio la Corte dei conti, a distanza di anni, la ritiene ancora responsabile di un danno erariale di 244.000 euro e l’ha più volte invitata a fornire documentazione in sua discolpa. Ahimè, la signora che ritiene facile per uno straniero procurarsi i documenti di decine di regioni in Ecuador, fatica a procurarsi dei documenti a Milano.
Ma la Sardone è anche colei che quando si diffuse la fake news del bar di Pioltello dove alcuni marocchini avevano festeggiato l’attentato di Manchester, postò la notizia su Facebook invitando tutti a condividere. Quel bar subì un attentato incendiario nella notte. È quella che nel 2014, in piena emergenza profughi, fotografò dei bambini che dormivano per terra in stazione e pubblicò tutto su Facebook gridando allo scandalo. E subito dopo inviò email ai programmi tv chiedendo di essere invitata “perché ho avuto risalto sui media per la foto dei bambini siriani a terra nella sporcizia!”. Cosa che si è ripetuta anche dopo l’edificante partecipazione a Piazzapulita. Sul telefono di molti conduttori e autori tv infatti, ieri è apparso il seguente messaggio: “Buongiorno, sono Silvia Sardone, consigliere regionale in Lombardia, uscita da Forza Italia e ora vicina alla Lega (la Lega lo sa!? ndr). Questa settimana sono stata ospite a DiMartedì e Piazzapulita, le scrivo per segnalarle che sono disponibile a venire ospite in trasmissione!”. Insomma, è convinta di aver fatto una bella figura.
Del resto, c’è chi chiede una casa popolare e chi, forse con la medesima disperazione, cerca di essere popolare e basta.