Il Messaggero, 16 febbraio 2019
La politica dell’invettiva spacciata per coraggio
Il durissimo discorso che il belga Guy Verhofstadt, parlando al Parlamento europeo, ha rivolto al nostro primo ministro Conte, dandogli del burattino mosso da Salvini e Di Maio, ha innescato una serie di polemiche, ma anche qualche riflessione di tono più generale, su cui forse non è inutile tornare.
Specie a sinistra, le reazioni non sono state unanimi. L’atteggiamento di alcuni è stato analogo a quello dei più cinici maschilisti di fronte allo stupro di una ragazza in minigonna: non si fa, però un po’ se l’è cercata. Altri, più pacatamente, hanno fatto notare che, dopotutto, quel che il leader liberale Guy Verhofstadt ha detto in pubblico è precisamente ciò che tutta la stampa progressista pensa, dice e ripete da mesi senza alcuna remora o esitazione. Altri ancora hanno riversato ogni colpa sul linguaggio e i comportamenti dei due burattinai: Salvini è lo stesso che qualche tempo fa si permetteva di dare dell’ubriacone al Presidente della Commissione Europea Juncker, mentre Di Maio è lo stesso che un paio di settimane fa incontrava i gilet gialli, entrando a piedi giunti nella politica francese. Altri, infine, hanno accusato di ipocrisia quanti si sono dati la pena di difendere il nostro primo ministro a dispetto delle proprie opinioni su di lui, non lontanissime da quelle di Guy Verhofstadt.
Già, l’ipocrisia. Forse è proprio su questo che dovremmo riflettere. Di essa, François de La Rochefoucauld diceva che è un omaggio che il vizio rende alla virtù. Perché chi esibisce un comportamento rispettoso verso qualcuno che detesta, o di cui non condivide le scelte, proprio con questa sua rinuncia ad offendere, deridere o aggredire, implicitamente riconosce il valore del rispetto, dell’accettazione dell’altro.
Oggi le cose sono molto cambiate, e la parola ipocrisia ha assunto un significato del tutto negativo. Nell’uso comune essa viene per lo più interpretata come sinonimo di viltà e di rinuncia all’autenticità. Ipocrita viene considerato chi, per timore di dover pagare un prezzo, nasconde le sue idee e i suoi sentimenti, accettando di diventare inautentico.
Ipocrisia e autenticità. Questa è la coppia concettuale che, specie dopo la stagione esistenzialista, ha finito per installarsi nelle nostre menti. Ma è una coppia profondamente fuorviante. Perché è eticamente connotata: a un polo, quello positivo, l’autenticità di chi non nasconde nulla di sé stesso, all’altro polo, quello negativo, l’ipocrisia di chi dissimula i propri pensieri. E invece la vita sociale, sia sulla scena pubblica sia nella sfera privata, è fatta dell’una e dell’altra.
Riflettiamoci: quante delle nostre relazioni e amicizie sopravviverebbero se, con tutti coloro che frequentiamo, noi dicessimo sempre quello che pensiamo? O se agissimo solo guidati dai nostri impulsi più profondi? Lo stesso vale per le istituzioni: nessuna istituzione può resistere nel tempo se non conserva, a dispetto dei suoi limiti, il rispetto dei singoli e delle altre istituzioni. Vale per la scuola, l’università, la Banca centrale, i sindacati, i ministeri, il Parlamento.
È per questo che, nella vita sociale, non esiste un unico linguaggio, né un unico registro, ma ne esistono molti, ognuno con le sue regole e i suoi ambiti di applicazione. Il problema è che, negli ultimi tempi, si è fatta strada l’idea che il linguaggio più brutale e diretto, quello che si può usare fra persone che si danno del tu, si possa tranquillamente estendere ad ogni contesto, come se il mondo si riducesse a un immenso e indifferenziato social.
Il punto interessante, però, è che a questa irruzione delle pretese dell’autenticità in tutte le relazioni e in tutti i contesti non contribuisce solo la politica. La politica è solo il luogo nel quale è più evidente che è saltata ogni regola e, proprio perché tutti destra e sinistra, populisti (come Conte) e liberali (come von Verhofstadt) non si sentono tenuti al rispetto dell’avversario, non c’è alcuna speranza di ristabilire le condizioni di un confronto civile. Oggi alcuni si indignano (non senza ragione) per lo scarso rispetto riservato a Conte, ma quanti di essi si indignavano quando la medesima mancanza di rispetto colpiva politici come Berlusconi o come Monti?
La realtà, purtroppo, è che una malintesa volontà di essere sé stessi sempre e ovunque pervade un po’ tutta la società, e ha finito per far cadere la distinzione fra coraggio e oltraggiosità, fra onestà intellettuale e spregio dell’altro. Facendoci dimenticare che mettere un freno a l’animale che mi porto dentro è, dopotutto, il compito e la sostanza della civiltà.
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