il Giornale, 16 febbraio 2019
Leader e dittatori che pesano oltre il quintale
Ancora non sappiamo se e quanto il potere logora, di sicuro fa ingrassare. In Italia lo testimoniano il faccione di Matteo Renzi ai tempi di palazzo Chigi (poi però si è rimesso in forma) e l’espressione sempre più piena di un Salvini ormai habitué di spuntini serali molto social e poco sani. È l’ovvia conseguenza di una vita con orari impossibili e poco tempo libero. Donald Trump non fa eccezione ed è solo l’ultimo tra i politici caduti sul fronte lipidico. L’interessato non sembra badarci troppo: per lui è forse anche questione di ricerca del consenso, una maniera di comunicare vicinanza all’americano medio, visto che quasi la metà della popolazione Usa è sovrappeso.
Eppure il grasso, non solo in politica, è un’arma a doppio taglio: può suscitare simpatia ma anche diffidenza. Può essere considerato come un segnale di disordine interiore, dell’incapacità di controllare i propri istinti. Un rivale repubblicano di Trump ai tempi delle presidenziali, Chris Christie, obeso vero con un peso superiore ai 150 chili, specie agli inizi della sua lunga carriera era stato attaccato dai rivali proprio per le sua massa debordante. Ma era sempre riuscito a volgere le battute a proprio vantaggio ricavandone popolarità. Eppure prima della corsa alla Casa Bianca del 2016 ha preso una decisione personale e politica importante: si è fatto operare per ridurre lo stomaco e dimagrire.
Di sicuro, mano a mano che si procede verso la sinistra dello schieramento politico il grasso diventa un nemico sempre più manifesto. La prima conseguenza del via alle primarie democratiche per il 2020, ha scritto di recente il New York Times, è stata la diminuzione del giro-vita dei candidati. Tutti si sono fatti fotografare con una linea da pubblicità salutista, in palestra o mentre correvano in pantaloncini. Uno, Cory Booker, è il primo vegano dichiarato a correre per la presidenza.
Come ovvio si tratta di un atteggiamento figlio dell’abbondanza. Quando il problema era la scarsità, la prospettiva era tutta diversa. Sui libri di storia americani si ricorda con simpatia il bonario William H. Taft, presidente ai primi del Novecento, l’ultimo inquilino della casa Bianca a possedere una mucca (gli piaceva il latte fresco), il primo a comprare un’automobile. Pesava 160 chili per 1 metro e 80 di altezza; raccontano le cronache che una volta si incastrò nella vasca da bagno e ci vollero sei inservienti per tirarlo fuori. È suo il record di presidente più grasso della storia. Più o meno nello stesso periodo, dall’altra parte dell’Oceano, la Regina Vittoria, sovrana del Regno Unito e imperatrice delle Indie, stava segnando un’epoca e toccava livelli di popolarità, forse sarebbe meglio dire venerazione, mai raggiunti. Era alta 152 centimetri e negli ultimi decenni della sua vita pesava intorno ai 76 chili: non certo un figurino, ma nessuno avrebbe nemmeno mai sognato di pensare che il peso non fosse adeguato alla carica.
A salvare il suo regno, in anni più recenti, fu un primo ministro, Winston Churchill, non lontano dai 100 chili anche se era alto non più di 1,73. Nel suo caso il problema era l’alcol: l’eroe della seconda guerra mondiale pasteggiava a brandy e champagne (un maniacale biografo ha stimato che nel corso della sua vita abbia bevuto 42mila bottiglie di Pol Roger, la marca preferita). Tra un pasto e l’altro non mancava mai un bicchiere di whisky sulla sua scrivania.
Altri tempi, appunto. Che in qualche caso, però, non sembrano finiti. Un dittatore, ogni dittatore, può per definizione disinteressarsi dell’immagine. L’amico di Trump, il coreano Kim Jong-un, non è certo preoccupato dei possibili confronti tra la sua rotonda figura e la magrezza dei sottonutriti coreani del Nord e ostenta con visibile soddisfazione i suoi 130 chili per 167 centimetri.
Un esempio limite, il suo. In democrazia l’immagine conta, anche se in modo diverso da Paese e Paese. In Germania il cancelliere Kohl, un corrazziere da 1 un metro e 93, appassionato di un piatto leggero come la pancia di maiale farcita, viaggiava negli ultimi anni di incarico tra i 130 e i 140 chili. Quando qualcuno gli chiedeva quanto pesasse, allargava il volto in un sorriso: «Mi dispiace, non posso rispondere, è un segreto di Stato».