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 2019  febbraio 16 Sabato calendario

Intervista a Joann Sfar, che si è innamorato su Facebook

Si presenta in un bar parigino, in fondo al diciassettesimo arrondissement, con il suo cane dolce, bianco e docile. Molto diverso da Marvin, il terribile bull terrier, che voleva divorarsi i suoi gatti. E uno dei protagonisti del romanzo Persone che potresti conoscere, appena pubblicato in Italia da Clichy. Eccolo Joann Sfar, nato a Nizza 47 anni fa, fumettista, regista e romanziere: un fiume in piena, come sempre. Il libro è la sua storia («tutto vero»), quella di un uomo («un orso Baloo di 103 chili», così si definisce) che per tre decenni è stato con la stessa donna, ha avuto due figli, ormai adolescenti, ma si ritrova single irrequieto e dall’intensa vita sessuale. Poteva essere una qualsiasi crisi di mezza età… finché si innamora di Lili. Su Facebook si presenta con le immagini di una nota modella israeliana. È durato sei mesi e lui non l’ha mai incontrata fisicamente. Ma ne è diventato dipendente, trascorre ore a chattare e a parlare al telefono con lei, che racconta di essere stata maltrattata da piccola dalla mamma o di avere la leucemia. Joann ci credeva o forse faceva finta. Già nelle prime pagine del romanzo si scopre quello che sarà l’esito finale: «Lili è povera, vive nel Nord della Francia e quello che ha deciso di fare è completamente folle». Ha usurpato un’altra identità, ha inventato tutto. «La storia, anche quella vera – aggiunge Joann -, termina in un commissariato».
I poliziotti cosa le hanno detto?
«Mentire non è un reato di fronte alla legge. E neanche farsi passare per un’altra persona su Internet. Ho potuto denunciare questa donna, perché mi ha minacciato, nel momento in cui non volevo più parlarle. E perché utilizzava dettagli della mia vita intima per sedurre altri uomini.
Chi erano le sue vittime?
«Persone celebri e poi ebrei, come me, o arabi. Ancora oggi non capisco il perché di questa scelta».
Lili le ha spillato tanti soldi?
«Per nulla, non ne chiede mai (uso il presente perché, malgrado tutto e l’intervento della polizia, continua a imperversare). E devo dire che alla fine sono stato io a premere su Facebook il tasto “Persone che potresti conoscere” per connettermi a lei. Sono responsabile dei miei atti. Un amico, che è attore e che si è fatto abbindolare dalla stessa persona, ha notato che in quella fase io, lui e altri eravamo single e incontravamo varie donne. Ecco, se tenevamo particolarmente a questa, è perché non esisteva. Il libro è quasi un giudizio divino sulla follia e l’orgoglio dell’uomo celibe».
Il romanzo resta molto ironico e autoironico, nonostante tutto. Ma non ha provato vergogna a raccontare una storia autobiografica di questo tipo?
«All’inizio ho esitato. Me l’hanno detto tutti: ma come hai potuto essere così scemo? Mi ha rassicurato il fatto che eravamo in più a essere stati scemi».
Quale, secondo lei, l’immagine simbolica di tutta la storia?
«Quando i miei amici mi attendono per festeggiare il mio compleanno e scelgo di restare a piangere nella mia vasca da bagno al telefono con Lili, che si spaccia per malata terminale, perché lei mi ha detto: non mi puoi lasciare da sola proprio ora. Il colmo è che dietro tutto questo c’era davvero una donna sola da qualche parte in Francia. E che voleva davvero restare al telefono con me».
Aveva sviluppato una sorta di idolatria nei confronti di Lili?
«Sì. Ho perso mia madre quando avevo appena tre anni e mezzo. Non ho un ricordo diretto di lei. Ma era cantante e modella, per cui avevo tanti suoi ritratti. Sono molto ricettivo nei confronti delle foto, anche come oggetto di adorazione. E quelle della modella israeliana postate da Lili mi ricordavano mia madre. Un’altra vittima di questa vicenda è proprio lei, la modella, molto famosa, di cui la mia usurpatrice riusciva a procurarsi immagini intime, non so bene come«.
Oltre la sua vita, nel libro vuole parlare di altro?
«Scrivendolo, ho pensato all’Isis. Avevo passato tanto tempo a chiedermi come si potesse credere alle cretinate degli estremisti islamici, che reclutano nuove leve sui social.
E poi sono stato io il primo a credere a delle cretinate nate su Facebook. Ho provato una fede, la fede in quella donna. Nel libro c’è anche l’illusoria speranza nella redenzione, mediante la storia di Marvin«.
Sì, questo bull terrier che si ostinava a tenere a casa…
«Speravo che la finisse di volere ammazzare i miei gatti. Ho preso un istruttore che gli ha insegnato qualsiasi cosa, anche ad andare sullo skateboard. Ma a un certo momento mi ha detto: questo cane imparerà tutto, ma, se vuole continuare a uccidere dei gatti, non smetterà mai. Sì, proprio come la “deradicalizzazione” che in Francia vogliono effettuare sui giovani jihadisti. Prendi uno dell’Isis, lo mandi in un luogo di cura e dopo tre settimane è “guarito”. Tutto questo è assurdo».
Esiste un senso latente di colpevolezza nel romanzo, non trova?
«Certo. Quando sei single, hai sempre l’impressione di fare delle cattive scelte. Se sei solo, non va bene. Poi, scegli una persona, ma non è quella giusta. C’è il senso di colpevolezza tipico dell’uomo eterosessuale, bianco e occidentale: insomma, il protagonista dei romanzi degli anni 60, quelli di Philip Roth. Oggi ti vergogni di essere così. Leggendo il libro, tanti mi hanno detto che alla fine ci si interessa più alla donna che all’uomo truffato. È lei il vero eroe : povera ma che, intelligente, riesce a interagire con personaggi famosi. L’uomo ha quello che merita. È ricco, conosciuto, peggio per lui».
In «Persone che potresti conoscere» ci sono anche molte pagine spinte, con dettagliate scene di incontri sessuali. Si è divertito a scriverle?
«Mi faceva anche un po’ schifo. Quando sei sposato, vuoi fare l’amore con tutte. Ma, dal momento che ti ritrovi solo e a fare l’amore con tutte, provi disgusto. L’essere single ci obbliga ad avere relazioni sessuali che non desideriamo. Non si vuole rientrare a casa da soli e si ritorna con una donna. Così si deve subire un’intimità fisica con lei, anche quando non se ne ha voglia. Io sono un idiota e ho fatto molto sesso per gentilezza. Non osavo dire: dormiamo insieme, senza fare l’amore».
Prima ha parlato dei gatti, salvati dalle grinfie di Marvin. Il suo fumetto più famoso è la lunga serie de «Il gatto del rabbino». Ma per oltre sei anni non ne aveva più disegnati…
«Non mi venivano nuove idee. Poi ho ricominciato. L’ottavo è uscito in Francia l’anno scorso. E ora sto disegnando il nono. Le storie sono sempre ambientate nell’Algeria degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Mio padre è nato lì: arrivò in Francia nel 1957, prima della guerra d’Algeria».
Ci è mai andato in quel Paese?
«In realtà no. Quando disegno Algeri, penso a Nizza, dove sono cresciuto. Credo che le rive del Mediterraneo si assomiglino molto. Poi mi vengono in mente le storie che raccontava la mia nonna paterna. E ci metto sopra immagini della pittura orientalista di inizio Novecento. Per il linguaggio, penso a un francese classico e al tempo stesso molto orale e idiomatico. È l’idea che mi sono fatto del francese parlato lì, anche attraverso i ricordi di nonna».